martedì 4 maggio 2010

Oltre i luoghi comuni

Se mi avessero detto che tornando da Chaaria avrei incontrato delle difficoltà nel raccontare la mia esperienza non ci avrei creduto. Invece sono rientrato da oltre una settimana, mi sono già seduto tre volte davanti al computer ma stento ancora ad incominciare. Sono troppe le sensazioni, troppi i ricordi e le emozioni che ho vissuto, così come troppe sono le idee che si affastellano in ordine sparso nella mia testa. La verità è che l’Africa, il Kenya e Chaaria in particolare sono davvero troppo da ogni punto di vista e sperare di riassumerli in poche parole è vano.
Sono arrivato laggiù con la mente ingombra dalle solite ovvietà: Africa uguale siccità, caldo, natura impietosa, miseria, infezioni, insetti, molta confusione e nessuna certezza. Persino sul mio ruolo e su quello che avrei dovuto affrontare  avevo le idee piuttosto confuse, io, il chirurgo, l’occidentale, il salvatore, il mondo da far girare al contrario…
DiStefanoAndrea.JPGDopo solo un mese di Africa vissuta, posso dire che la realtà ha superato ampiamente l’immaginabile e posso dire che le mie idee di partenza erano molto lontane dal vero quanto lontano è quel mondo dal mio. E tale distanza, già smisurata, diviene incolmabile se per riempirla si ricorre sempre agli stessi luoghi comuni che tendono a banalizzare le differenze. Non è facile sbarazzarsene ma non c’è altro mezzo se si vuole comprendere quell’umanità pertinace che pare di un altro pianeta mentre invece calpesta la stessa terra da cui siamo venuti noi. Non è facile ma è indispensabile se si vuole vivere l’Africa in sintonia anche solo per un mese.
Per quanto mi riguarda, se sono riuscito a farlo lo devo soprattutto a coloro che laggiù si spendono integralmente per gli altri senza chiedere nulla in cambio, lottando contro centomila avversità con la passione di chi crede realmente in quello che fa pur sapendo di non poter cambiare il corso delle cose. Ho avuto il privilegio di conoscere dei veri missionari, di stargli al fianco, di aiutarli per quel che ho potuto ma ancor più di ascoltarli. Loro mi hanno permesso di entrare dentro la realtà oltre i luoghi comuni. Ed anche se a volte al loro cospetto mi sono sentito piccino li ringrazio di cuore perché mi hanno insegnato molto.
Ma non è l’unica lezione che ho appreso laggiù. La sofferenza, ad esempio, non è uguale a tutte le latitudini, non ha lo stesso significato e neppure gli stessi effetti. Ecco un’altra cosa che ho imparato. Ho visto con i miei stessi occhi negli occhi delle donne di Chaaria una forza di sopportazione che va al di là del mero fatalismo, una resistenza al dolore, alla fatica, al sacrificio che non credevo potesse esistere neppure tra i santi.  Loro mi hanno fatto capire che tutto è relativo, quello che qui io chiamo caldo in Africa è freddo, quello che io chiamo giusto lì è ingiusto, quello che definisco bello può essere brutto e quello che considero dolore in quel contesto farebbe ridere. Persino il cancro in Africa è diverso, in tutte le sue manifestazioni, è mostruoso, devastante, terribile eppure rimane parte integrante della vita stessa, come la morte peraltro.
E la povertà? Un altro luogo comune. Africa uguale povertà. Nulla di più vero, nulla di più falso. Questione di termini, in primo luogo, e di pregiudizi. Prima di partire ero convinto che povero fosse colui che non possiede nulla, che non può comprarsi quello che vuole, che non può viaggiare per il mondo, che a volte salta i pasti perché non ha di che mangiare. Pensavo che per non esser più poveri bastasse il denaro, il cibo, i vestiti. Ho cambiato idea quando ho potuto constatare che la povertà è tutto questo ma è molto di più. Perché sul povero più delle privazioni pesa l’assenza di una prospettiva, il vuoto del futuro che gli fa trascinare la vita senza una speranza in un domani migliore. Del resto, cosa mai potrà sognare colui che è costretto a percorrere chilometri e chilometri per andare a prendere l’acqua da bere? Quali speranze potrà coltivare se la pioggia gli renderà impraticabile l’unica strada che lo collega al mondo? E quale visione potrà mai avere della vita se deve rassegnarsi a morire perché non ha i soldi per farsi curare?
Essere privati del proprio domani. Questa è la vera povertà.
Quando ho visto una giovane donna aspettare in silenzio per giorni che qualcuno dei parenti lontani trovasse i soldi per riportarla a casa, allora ho capito. E mi sono vergognato.

Andrea Di Stefano



PS Un altro tesoro che ho riportato dal Kenya è l’amicizia, quella che è nata, cresciuta e si è consolidata con i componenti del mio insuperabile gruppo, Paolo, Giusy, Francesca e Salvina, e quella imprevista e per questo assai gradita con le persone splendide incontrate laggiù, Beppe, Lorenzo, Antonio, Pinuccia, Martin, Makena, Kajnua, Celine…

Nessun commento:


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


Guarda il video....