giovedì 26 marzo 2009

PICCOLO DIZIONARIO PRATICO: Italiano/Inglese/Kimeru/Swahili


Premessa

Carissimi amici,
Oggi vi presento la prima parte del dizionarietto per i volontari. Seguira’ ancora un’ultima parte che vorrebbe essere anche un piccolo compendio.
Desidero prima di tutto ringraziare Marcella, infermiera di Cagliari e volontaria a Chaaria nel 2007, la quale ha fatto gran parte del lavoro. Poi ringrazio Stefania, ci ha permesso di consultare il lavoro che Marcella aveva fatto in forma cartacea. Noi lo abbiamo un po’ corretto, e posto in formato web. Magari ci saranno ancora errori di battitura nella parte italiana ed inglese, e vi saremo molto grati se ce li segnalerete.
Ringrazio anche I giovani Fratelli Robert e Ibrahim che mi hanno aiutato per la parte kimeru, e Lydia che mi ha aiutato per il Kiswahili.

Nota tecnica
1) Il Kiswahili si pronuncia come l’italiano, per cui per noi non e’ molto difficile leggerlo. Alcune eccezioni:
a) la s e’ sempre dura come per la parola salsa. Il suono dolce come nella parola italiana casa in Kiswahili corrisponde alla lettera z.
b) ny si legge come il suono gn di gnomo
c) W non e’ mai duro come in italiano (Walter per esempio), ma si legge u (per esempio saua saua)

2) Il kimeru ha una pronuncia molto complessa. Generalmente la i si legge e, e la u si legge o. Per la s, per ny, per il w, vale la stessa regola del kiswahili


Fr Beppe



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PICCOLO DIZIONARIO PRATICO SWAHILI

1 commento:

Basciu Patrizia ha detto...

SALVE , SONO CONTENTA DI AVER TROVATO QUESTO PICCOLO, CHE PER ME SARA' GRANDE VOCABOLARIO DELLA LINGUA KIMERU, MI SARA' MOLTO UTILE A TUURU, VI RINGRAZIO TANTISSIMO, SIETE STATI SPLENDIDI E' TUTTO MOLTO CHIARO DA CAPIRE PER UNA PROFANA COME ME A PRESTO PATRIZIA..


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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