martedì 20 maggio 2008

Decisione sofferta

Oggi non ero al massimo della forma, avendo avuto una emergenza notturna; la gente si accalcava come al solito, ed io quasi avevo dispnea mentre ascoltavo per l'ennesima volta la stessa storia: "ho tanto male qui... poi il dolore si irradia là. Non riesco a mangiare come vorrei...ho la tosse". Verso le 17, quando le mie pile davano segno di andare in riserva, mi sono visto arrivare Lina. E' molto peggiorata. La massa è sempre più grande, ed ora le riempie la bocca in modo mostruoso. Si è seduta e ha tentato anche di sorridermi: le notizie però non erano delle più entusiasmanti. Non è riuscita a farsi dare la fotocopia della cartella clinica, né tantomeno il vetrino per la verifica dell'esame istologico. Al Kenyatta insistono sulla radioterapia, e le dicono che non ci sono possibilità di salvaguardarle la vista.

Lina mi ha guardato con quell'unico occhio che le rimane, poi mi ha stretto la mano, e mi ha detto: "Beppe, ho deciso: non farò la radio. Non posso pensare a sopravivere e poi non poter più vedere". Io la guardavo da vicino. Soprattutto mi impressionava quella escrescenza carnosa che ora protrude gravemente dalla bocca: "Riesci a nutrirti?", le ho chiesto soprattutto per cambiare discorso. Lina mi ha detto che le hanno consigliato dei supplementi di tipo omeopatico, e che ora si sente più in forze. Io ho gruardato a terra, per nasconderle la mia poca fiducia in questo tipo di rimedi. Poi le ho detto: "vero che ti costano un occhio della testa?". Lei mi ha risposto di sì e mi ha detto che comunque li ha comprati a credito, sperando nella bontà dei benefattori. A questo punto mi sono arreso e le ho detto: "se ti senti più forte, allora questi supplementi sono ottimi; te li pago io con i soldi degli amici italiani".
Poi Lina incalza: "vero che non mi lasci morire?".
Io le ho detto che farò del mio meglio, e d'istinto le ho proposto di iniziare le pratiche del passaporto: "In Italia conosco delle persone che potrebbero operarti, e magari con la chirurgia plastica potresti guarire e non perdere la vista. Ho letto che in Francia hanno addirittura fatto un trapianto di faccia. Non lo so. Questa sera scrivo di te ai miei amici. Poi vediamo cosa ne nasce. Non sarà facile: ci vogliono documenti, VISA, soldi per ospitarti, altro denaro per operarti, un posto dove chi ti accompagna potrà dormire. In questo momento ho tanta confusione in testa, perchè credo di non avere il tempo materiale di seguire tutte queste problematiche, ma credo che Dio abbia le sue vie, e possa aprirci delle porte che non immaginavamo". Sono spuntati i lacrimoni sia a lei che a me. Poi le ho dato i soldi per pagare i supplementi omeopatici e le pratiche di passaporto per lei e per la sorella maggiore. Ci siamo salutati e ci siamo detti che dopo l'8 di giugno ci saremmo nuovamente visti, a Dio piacendo.
Lina è andata via quando erano quasi le 18: una diciassettenne coraggiosissima che affronta il viaggio in matatu da sola, incurante dello stigma e dei segni evidenti di ribrezzo che la gente ostenta. Che forza vedo in lei: mi sembra di rivedere Kendi.

Ciao. Beppe.


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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