sabato 31 gennaio 2009

Cottolengo Center di Langata Nairobi


E’ stato fondato nel 1990, dapprima come casa di noviziato per le Suore.

Per un breve periodo ha ospitato bambini handicappati mentali, ed ha organizzato attivita’ di assistenza a domicilio nel vicino slum, come da tradizione per la nostra spiritualita’, ma, a partire dal1992 si e’ decisamente rivolto verso l’accoglienza di bimbi affetti da HIV, molti dei quali orfani. All’inizio c’e’ stata una gestione condivisa, insieme ad un’altra struttura chiamata Nyumbani e diretta da un gesuita americano (Padre Angelo D’Agostino).
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Dal 1994 pero’, appena raggiunta una certa confidenza sul come gestire la patologia in eta’ pediatrica, sia dal punto di vista medico che sociale, la Piccola Casa ha assunto la direzione del centro in modo completamente autonomo.
Il Cottolengo Centre di Nairobi e’ stato da subito una struttura di eccellenza per l’alto livello di efficienza e per le terapie di ottima qualita’ offerte. Puo’ essere definito come un hospice dove si cerca anche di fornire un ambiente del tutto familiare ed uno stile di vita il piu’ possiblie normalizzato.
La vita dei bambini e’ quindi scandita dalle comuni attivita’ proprie dell’infanzia, dal gioco, al canto, alle scuole di ogni ordine e grado. Il centro si avvale della collaborazione di specialisti che visitano i bambini in giorni prestabiliti. In caso di necessita’ di ricovero ospedaliero si affida al Kenyatta National Hospital. Il servizio e’ portato avanti da Don Giusto Crameri, in qualita’ di direttore, e dalle Suore del Cottolengo, che coordinano tutte le attivita’.

La struttura accoglie preferenzialmente bambini molto piccoli e li accompagna fino all’eta’ adulta, quando poi si cerca per loro una sistemazione nella vita al di fuori del Cottolengo.
Ci sono anche dei casi in cui, applicando con correttezza la terapia profilattica a dei neonati, si sono ottenute delle negativizzazioni di test positivi alla nascita: tali bambini vengono quindi reinseriti in famiglia, se i genitori sono vivi... e vengono definiti come liberi da malattia. Purtroppo, nonostante le terapie in atto, la mortalita’ e’ ancora significativa, ed e’ sempre drammatico veder morire un bambino con cui si e’ vissuto per molti anni.
Dai primi anni ’90 ad oggi lo scenario per la cura dell’AIDS e’ comunque cambiato moltissimo: da una parte c’e’ il grande problema dei bambini che sopravvivono al lungo, ed oggi possono giungere fino alla vita adulta. All’inizio, data la scarsita’ di buoni farmaci ARV, era molto raro che un bimbo positivo arrivasse alla adolescenza: oggi, con il migliorare delle terapie, si pongono problematiche nuove, come per esempio la gestione della sessualita’ di questi ragazze e ragazze, il loro bisogno di farsi una famiglia e di avere una vita indipendente. Il lavoro di counseling e’ dunque diventato sempre piu’ complesso perche’ sono proprio gli adolescenti a fare le domande piu’ difficili: perche’ proprio a me? Perche’ la gente mi evita? Che colpa ne ho io se me lo sono preso fin dalla nascita? Anche i problemi di reinserimento sono divenuti assai piu’ complessi e cozzano spesso con lo stigma ancora presente nei loro confronti.
Su un fronte completamente diverso c’e’ invece il fatto che il numero di bambini piccoli che necessitano di hospice sta diminuendo, vuoi per tutte le strategie di prevenzione messe in atto a livello sanitario, vuoi per le terapie di profilassi date a tutte le donne gravide ed ai loro neonati, vuoi per il fatto che i genitori sieropositivi oggi possono sopravvivere molto a lungo, se in antiretrovirali.
Questo pone il Cottolengo Centre di fronte ad un un nuovo discernimento sulla tipologia di pazienti da ricoverare in futuro.

Fr Beppe Gaido



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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