martedì 7 aprile 2009

Riflessioni giornaliere dal Diario di Padre Pasquale SSC su alcuni "Detti e Pensieri" di S. Giuseppe Cottolengo, a cura di Lino Piano


Numero 41


Bisogna confidare e confidare sempre in Dio; e se Dio risponde colla sua Divina Provvidenza alla confidenza ordinaria, a chi straordinariamente confida, straordinariamente pure provvede.


Riflessione


L’amore è una realtà troppo pericolosa e rende vulnerabili. Una volta che si è amati, se si viene abbandonati, si entra in un mondo di angoscia, ci si mette a spiare gli sguardi, ci si chiede che cosa l’altro pensi di noi. E’ così difficile sopportare questo mondo interiore, che si finisce per rompere tutto dicendo: “Non amerò più”. Ma anche questo è insopportabile, perché non si può vivere senza amore. Il confidare sempre in Dio è l’espressione più bella di chi ha gettato tra le braccia di questo Padre Provvidente tutto se stesso. Dio per primo si è reso vulnerabile fino al punto di lasciarsi crocifiggere per amore. Questa è la sua risposta al nostro tradimento: Ti amerò per sempre. Davanti alle nostre paure volgiamo lo sguardo verso Gesù perché ci guarisca. Abbiamo bisogno di una certa limpidità interiore, una certa luminosità che ci permetta di non essere bloccati; soltanto così potremo abbandonare il mondo della tristezza, delle tenebre, della disperazione e della viltà ed entrare nel mondo della verità e della speranza. La confidenza straordinaria nel Cottolengo fece morire, in lui e quindi è possibile anche in noi, l’aggressività, la critica inutile, il potere di emarginare… Possano morire le nostre paure e le nostre sicurezze con la nascita di nuove dolcezze: l’accoglienza, il calore, la pazienza, uno sguardo attento e amorevole, un ascolto più intenso, più attento, un amore che “tutto crede, tutto sopporta e tutto spera”.

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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