martedì 14 aprile 2009

Riflessioni giornaliere dal Diario di Padre Pasquale SSC su alcuni "Detti e Pensieri" di S. Giuseppe Cottolengo, a cura di Lino Piano


Numero 100

Quanto entrato pei poveri, altrettanto uscito per mantenerli; se conserviamo l’oro e l’argento, la Divina Provvidenza non ce ne manda più perché sa che ne abbiamo. Perciò tra la Divina Provvidenza e noi sonvi due lavori differenti: Essa manda cibo, vesti, biancherie, danari a forza; e noi pe’ suoi poverelli spenderli allegramente, senza pensare a dimani o diman l’altro; perché la Divina Provvidenza di domani e della settimana ventura e degli anni a venire, è quella medesima di quest’oggi. Dunque, niente paura, e avanti in Domino.


Riflessione

Quanti volti tristi incontriamo nelle nostre strade! Chi è alla guida della propria auto può farne l’esperienza: tutti hanno fretta e basta poco per far scattare l’aggressività che c’è in ognuno di noi.
Nelle famiglie, nelle comunità, nelle scuole, nelle fabbriche… quanta aggressività sbagliata! Come trasformarla in tenerezza e perdono? Come interrompere la catena dell’aggressività contro il debole; come vedere nella diversità un valore e non una minaccia; come far smettere la gente di invidiare coloro che hanno di più e spingerla a condividere con coloro che hanno di meno?
Che cosa può trasformare questa morte spirituale in qualcosa di significativo, di motivato?
Noi siamo fatti di testa, di mani, di cuore. Siamo capaci di conoscenza, di abilità e di un rapporto d’amore. L’attività e il lavoro portano a una certa realizzazione di noi stessi. Ma non basta. Abbiamo bisogno di rapporti autentici.
Stiamo allegri: abbiamo un Padre che ha fiducia in noi, dei fratelli e delle sorelle che con la loro amicizia e il dono di se stessi possono soddisfare i bisogni della nostra persona!

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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