venerdì 3 dicembre 2010

Una foto di Josephine

Non ricordavo neppure di avere questa foto. L’ho trovata oggi aprendo i documenti del computer. Era stato un regalo di una volontaria fotografa. Me la sono trovata davanti, e mi sono quasi messo a piangere.
Ve la propongo, a mo’ di “ricordino”.
Pensatela in Paradiso che prega per noi.
Sicuramente ci perdonera’  se e’ morta anche perche’ non siamo davvero riusciti a comprendere bene che cosa la stesse divorando.
Ma ora e’ nella luce di Dio, e certamente stara’ meglio che qui in terra, dove le sarebbe toccata una vita da paraplegica piagata.
Avevo comunque sperato molto che potesse sopravvivere ed anche migliorare un po’, come per esempio e’ successo a Naomi... ma i piani di Dio erano diversi.
Come gia’ era capitato per Josphine (la paziente diabetica), anche Josephine se n’e’ andata di notte, senza salutare nessuno.
Il loro nome e’ molto simile... solo una “e” di differenza; e purtroppo anche le loro giovani vite stroncate hanno tanti punti in comune, e mi lasciano un sacco di rimpianti nei loro confronti. “Se avessi fatto... Se mi fosse reso conto... Se avessi dato loro piu’ tempo e piu’ attenzione!”
Purtroppo con i “se” ed i “ma” non si fa la storia.
Ora dobbiamo pregare tanto per la sua mamma che e’ affranta come noi, perche’ non se lo sarebbe mai aspettato cosi’ presto.

Fr Beppe Gaido


2 commenti:

Elvira ha detto...

Josphine il tuo corpo era una prigione. Liberato da esso puoi stare più vicino a coloro che ami anche trovandosi ai quattro angoli del pianeta.Per ora rimarremo insieme ricordandoti. Un giorno ci riuniremo in spirito. Ti amo molto. Elvira.

Anonimo ha detto...

Ciao Josephine...il tuo sorriso rimmarà sempre nei nostri cuori...


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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