lunedì 21 febbraio 2011

Bertoldo ridendo si confessa

Mi chiamo Bertoldo e desidero farvi alcune confidenze. Sono piccole cose e sono dette cosi’ per sfogarsi e scaricare la tensione!
Da una settimana a Chaaria manca la luce, e, come spesso capita, le disgrazie capitano tutte in serie: infatti il generatore grande e’ andato in panne esattamente nello stesso momento, ed ha sviluppato un problema che non siamo riusciti a riparare per vari giorni. Siamo cosi’ andati avanti con lampade a petrolio, pannelli solari e.... generatore piccolo in momenti determinati per alcune macchine del dispensario.
Ma, come sempre, ci si accorge delle cose quando le hai perse: non avrei mai creduto che la nostra vita fosse cosi’ tanto dipendente dall’elettricita’.
Per esempio le nostre pompe sono elettriche, e quindi siamo andati in grave carenza d’acqua. Abbiamo dovuto ridurre al minimo le pulizie e predisporre un piano di raccolta dell’acqua al fiume, nel caso l’energia elettrica non torni per vari altri giorni.
Il generatore piccolo poi e’ davvero insufficiente, per cui basta a malapena per le luci del dispensario: che cosa vuol dire tutto questo?
Vuol dire che per esempio non possiamo usare il gastroscopio, che e’ in un locale al di fuori del dispensario.
Implica pero’ anche che Mercy possa fare solo estrazioni perche’ il compressore e’ troppo grosso per essere azionato dal piccolo generatore... e quindi il trapano non gira.
Ma significa anche non poter usare gli ecografi, perche’ le unita’ di continuita’ non riescono a caricarsi... e dopo 20 minuti gli ecografi si spengono. In sala operatoria si opera senza aria condizionata e senza elettrobisturi per lo stesso problema. Anche la scialitica grossa e la culla termica per i neonati sovraccaricano il piccolo gruppo autogeno.
Problema non da poco e’ la sterilizzazione: con il generatore piccolo non si possono usare le autoclavi... abbiamo ora quasi finito le scorte di materiale sterile, ed abbiamo un piano di emergenza di portare il materiale a Nkubu per la sterilizzazione.
Di notte poi e’ buio pesto al di fuori dell’ospedale, e per esempio ieri, dopo una serie interminabile di emergenze, abbiamo mangiato qualche boccone di pane a mezzanotte, al lume di una candela rubata dalla sacrestia.
Eppure i malati ci sono e bisogna cercare di guardarli. Stanotte sembrava di essere al pronto soccorso delle molinette. Il corridoio e’ stato sempre pieno fino alle 2, quando me ne sono andato ed ho cercato di dormire un po’: bambini con la malaria, partorienti, persone attaccate dai malviventi (tra l’altro due feriti a colpi di... freccia). Oggi poi in sala d’attesa ci saranno 450 clienti. Per fortuna siamo riusciti a far partire il generatore grande e quindi ci stiamo portando avanti con le pompe dell’acqua e con la sterilizzazione... speriamo solo che non si fermi subito, come era gia’ successo ieri ad appena 24 ore dalla precedente riparazione.
Lavorare in sala con il generatore piccolo (e sapendo che e’ l’unica chance) e’ un vero stress: quando in sala parto accendono la culla termica per il nascituro, le scialitiche diventano sempre meno luminose, l’aspiratore rallenta i giri del motore emettendo suoni sinistri, ed i neon traballano. Fuori il motore a benzina del povero gruppo autogeno grippa e sembra fermarsi da un momento all’altro.
Ieri sera e’ successo davvero, ed e’ stato terribile finire l’intervento al lume di una pila alogena a batteria.
Tutto questo crea una tensione incredibile, soprattutto quando qualcuno viene a lamentarsi di problemi veramente minori, senza tener conto del quadro generale. Abelarda e’ venuta a dirmi che non avrebbe potuto cambiare gli orfani di notte, perche’ quella stanza non ha i pannelli. Io sono riuscito a controllarmi e le ho chiesto come faceva con i suoi bambini, visto che, a quanto mi risulta, a casa sua l’elettricita’ non ce l’ha mai avuta.
Poi all’una stanotte, dopo l’ultimo cesareo, e’ arrivato Dioscuro, che fa il guardiano notturno qui a Chaaria, e mi ha chiesto, mentre, tra le altre cose, cambiavo delle lampadine bruciate del sistema a pannelli solari: “non ti ricordi che dovevamo discutere di un anticipo sul mio salario?”
E’ stato solo il sonno incontrollabile che ha protetto Dioscuro da una grandinata emotiva da parte del sottoscritto: ma possibile che la gente non si renda conto di quanto sia dura lavorare in certe condizioni estreme, magari per 18 ore consecutive, e per sette giorni alla settimana?.
Poi vi racconto ancora un episodio classico di stamattina... sono Bertoldo, e scherzando mi confesso.
Mancava la luce; ero evidentemente depresso, ma cercavo di far fronte alle mille richieste della situazione: avevo un malato con peritonite da trasportare a Meru con l’autista gia’ scalpitante per partire, una cesarizzanda ormai spinalizzata che attendeva il mio ingresso in sala, una paziente con una fistola post paracentesi da chiudere, ed un malato gia’ in barella che aspettava l’ecografia. Ad un certo punto e’ entrata Diocleziana la quale, senza neanche tener conto che stavo scrivendo una lettera al computer, che alle mie spalle c’era una persona sulla barella con l’ecografo  in funzione al suo fianco, che sulla porta il driver attendeva la mia lettera... ha iniziato a dire: “devo vederti adesso per la mia visita di controllo perche’ ho finito il turno di notte ed inizio le ferie... quindi poi non posso piu’ venire!”.
Meno male che quando son depresso, sono anche calmo. Diocleziana e’ un’infermiera e lavora qui... ma anche lei non sa vedere il quadro complessivo; anche lei parte sempre e solo dal suo personale angolo visuale, quello dei suoi bisogni del momento, bisogni che in genere non possono mai attendere, e che, se possibile, bisogna soddisfare prima di quelli degli altri.
Scusatemi. Lo sapete che Bertoldo e’ cosi’. Si confessa scherzando, ed in questo modo poi sta anche meglio. Siete stati i miei psicologi, ascoltandomi nei miei sproloqui. Scrivendovene ho evitato di prendere una pastiglia di valium, e quindi vi ringrazio davvero di avermi letto... e curato.
I nomi delle persone sono inventati, ma le situazioni sono vere. Non ho mai parlato dei volontari, e, come vedete anche dal contesto, la mia confessione pubblica sfiora (senza pero’ ferirli) alcuni nostri dipendenti a cui peraltro voglio molto bene... e’ solo che e’ un momento molto duro e stressante.
Pregate con noi che la luce torni, prima che Chaaria, ormai in ginocchio, collassi completamente.

Fr Beppe Gaido, detto Bertoldo

Nessun commento:


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


Guarda il video....