lunedì 27 giugno 2011

La circoncisione femminile a Chaaria

Il cercapersone suona all’impazzata. Kathure mi dice di correre perchè il caso è urgente. Dico a Roberto che, se vuole, può venire anche lui a vedere di cosa si tratta. Cio’ che troviamo in ospedale ci riempie di costernazione: un rivolo di sangue sul pavimento che parte dalla sala d’attesa e giunge fino alla room 8. Ci avviciniamo con circospezione.
Dopo aver aperto la porta, vediamo un gruppo di donne che parla in modo concitato attorno ad una barella su cui giace una bimba di 15 anni, completamente inzuppata di sangue. La ragazza appare debolissima ed e’ chiaramente anemica. Susan, l’infermiera di turno, mi dice che si tratta di un caso di FGM. Io rimango un attimo interdetto e la guardo inebetito. Susan capisce che non ho colto il problema, e si spiega meglio: “Female Genital Mutilation, cioe’ un caso di circoncisione femminile andato male”.
Non sono avvezzo a questi problemi perche’ la pratica e’ di per se’ illegale, ed e’ già per definizione coperta da un grande segreto anche per motivi di cultura tradizionale. Susan continua: “ di casi del genere ce ne sono tanti, ma spesso le ragazze non vengono portate in ospedale e possono anche morire a casa. Oggi e’ stata la mamma a rompere con le tradizioni e a portarcela, con il rischio poi di essere punita dal proprio clan”.
“OK – dico io – ora cerchiamo di vedere qual’e’ il problema e proviamo ad aiutare questa poveretta. Allerta il laboratorio che abbiamo bisogno di sangue con urgenza, e poi visitiamo la paziente”.
Quello che vediamo e’ una amputazione parziale del clitoride che appare necrotico e maleodorante. Alla base di esso una arteria recisa e non suturata continua a perdere con il tipico andamento pulsante. Io guardo il sangue rosso ciliegia e chiedo immediatamente: “quando e’ avvenuta la circoncisione?”
La risposta mi sconcerta: “cinque giorni fa, ma la tradizione ha reso quasi impossibile alla mamma di agire prima, perche’, dopo la pratica, la ragazza deve stare in isolamento per circa un mese, prima di essere accolta nella comunita’ degli adulti”.
Ora e’ comunque tempo di agire in fretta: chiudiamo l’arteria per prima cosa; poi procediamo all’amputazione del tessuto necrotico, e quindi facciamo una chirurgia ricostruttiva che rispetti quanto piu’ possibile l’anatomia originale.
L’intervento e’ lungo ma procede senza complicazioni. Otteniamo 3 sacche di sangue ed iniziamo la trasfusione immediatamente, perche’ il livello dell’emogloblina e’ di 4 grammi, ed il sangue è quasi come acqua.
Dopo poche ore la ragazza e’ gia’ un’altra. Ha ripreso vita; la cute e’ calda; il polso e’ pieno. Credo che le abbiamo salvato la vita. Chissa’ pero’ quali drammi psicologici si portera’ dietro per tutta la vita.
In corridoio incontro la mamma e le chiedo in che modo avevano portato la bambina. Lei mi ha detto che l’avevano caricata su una barella di frasche, perche’ non era in grado di camminare. “Di dove siete?” le ho chiesto. E lei mi ha risposto che sono di Makandune, a non piu’ di 10 km da Chaaria. Poi ho insistito un po’, e mi sono fatto spiegare qualcosa sulla circoncisione. Sono le donne anziane del villaggio a praticarla con una lametta da barba che la mamma deve comprare in precedenza. Si tratta di persone che non hanno alcuna conoscenza ne’ di medicina, ne’ di igiene e profilassi. E’ chiaro quindi che quanto ho visto oggi e’ solo la punta di un iceberg: chissa’ quante bambine hanno complicazioni dopo la pratica rituale, ma non vengono portate in ospedale per non infrangere le tradizioni del clan.
Da statistiche non molto accurate da me eseguite in quasi dieci anni di attivita’ nel campo della maternita’, posso dire che ancora oggi circa il 40% delle donne Meru sono circoncise. Questa percentuale diventa poi del 100% per le popolazioni del Nord. Non si tratta di una vera infibulazione, come in altri Paesi dell’Africa. Qui da noi la pratica piu’ diffusa e’ quella della clitoridectomia con amputazione delle piccole labbra. E’ difficile per me capire le ragioni storiche che hanno portato a queste mutilazioni barbariche nei confronti delle ragazze: l’unica spiegazione che in questi anni mi sono data e’ quella che in una societa’ maschilista si vuole impedire ogni tipo di piacere sessuale alla donna, che deve sottostare ai rapporti con il marito solo ed esclusivamente per dargli dei figli.
Per le donne locali però ci sono altri significati molto profondi e per me sconosciuti: con la circoncisione la giovane viene ufficialmente accolta nel mondo degli adulti (le FGM infatti vengono praticate tra i 14 e i 18 anni); sopportando il dolore lancinante di questa pratica tradizionale officiata senza alcun tipo di anestesia, le adolescenti danno una forte prova di coraggio davanti a tutta la popolazione: esse diventeranno donne dimostrando di poter sopportare una sofferenza atroce che precludera’ loro per sempre ogni piacere sessuale.
Dimostrare di poter sopportare eroicamente queste mutilazioni rende le ragazze orgogliose di se stesse. Il giorno dell’operazione vengono radunate tutte le ragazze del villaggio presso la capanna, e per una volta le giovani si sentono regine: esse rivcevono attenzioni e regali, e questo fa dimenticare il dolore provato.
Per loro poi la circoncisione ha un significato educativo: per un mese resteranno chiuse in una capanna, dopo il “taglio” rituale. Esse riceveranno il cibo solo dale altre donne del clan. Non potranno vedere nessun altro. Queste stesse donne sono incaricate di insegnare loro le regole della vita adulta. La circoncisione diventa in pratica una autorizzazione al matrimonio, ed insieme previene per loro il rischio di essere escluse dalla vita del villaggio.
Io onestamente faccio fatica a comprendere tutti questi aspetti culturali. A me sembra una cosa barbara e profondamente ingiusta verso le ragazze. Mi riempie di rabbia quando in sala parto vedo donne che complicano con lacerazioni genitali estesissime proprio a causa della circoncisione; oppure quando si deve ricorrere al taglio cesareo a causa di danni permanenti causati dalle cicatrici conseguenti alle mutilazioni.
Come sempre pero’ devo ricordare a me stesso che io non sono venuto per giudicare, e devo invece cercare di aiutare la gente, senza mai interferire in cio’ che crede profondamente.
Passo un attimo dalla bambina. Non ha male e dorme. Guardo fuori e mi accorgo che e’ notte fonda. Dico a Roberto: “anche oggi siamo riusciti a saltare sia la preghiera che la cena. Siamo proprio dei discoli. Vieni, passiamo un attimo in cappella e raccontiamo a Gesu’ quello che abbiamo visto. Penso che questa sia la preghiera migliore: non c’e’ bisogno di alcuna formula. Lui capira’ benissimo quello che abbiamo nel cuore”.

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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