lunedì 11 luglio 2011

Siccità e fame

Ancora una volta la scarsita’ delle piogge ha portato carestia nel Corno d’Africa. Ne sono affette varie Nazioni tra cui Sud Sudan, Etiopia, Kenya settentrionale, e Somalia.
Si pensa ad 11 milioni di persone ridotte alla fame, con un numero elevatissimo di vittime tra le mandrie delle popolazioni a tradizione pastoralizia.
La situazione e’ gravissima in tutto il nord del Kenya, ed in particolare a Garissa.
Il Kenya e’ inoltre di fronte ad un’altra crisi umanitaria, e cioe’ il fatto che il flusso di profughi (che normalmente gia’ arrivano a frotte dalla Somalia a causa della guerra) e’ oggi ingigantito pure da coloro che entrano in Kenya per sfuggire alla fame che in Somalia ha proporzioni bibliche... anche perche’ e’ troppo pericoloso per le agenzie internazionali entrare in quella terra martoriata con aiuti alimentari.
Oltre all’enorme campo profughi gia’ esistente, al Kenya e’ ora richiesto di aprirne un secondo altrettanto capiente.
Secondo quanto sostiene OXFAM, la fame diventera’ sempre piu’ frequente in queste zone gia’ cosi’ povere, a causa del fatto che i cambiamenti climatici porteranno a precipitzioni sempre piu’ imprevedibili e sempre piu’ ridotte.

Fr Beppe 


1 commento:

Anonimo ha detto...

Al momento il flusso di rigugiati dalla Somalia e' di circa 1600 al giorno verso il campo profughi nel Nord del Kenya. Molti sono estremamente malnutriti e vari bambini muoiono prima ancora di varcare il cancello del campo ormai terribilmente sovrappopolato. Le scorte alimentari nel campo scarseggiano e le organizzazioni internazionali chiedono aiuti per una siccita' che non ha precedenti nel Corno d'Africa.
Addirittura Al Shabaab ha permesso alle organizzazioni internazionali di entrare nella Somalia meridionale per soccorrere chi muore di fame.

Fr Beppe


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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