Tante sono le figure femminili che mi hanno
profondamente colpito negli anni della mia presenza qui a Chaaria. La donna
africana è come un monumento di pazienza, di laboriosità e di fedeltà di cui
non puoi che essere profondamente impressionato. In esse vedo il futuro di
questo continente, che potrà contare sulla loro tenacia e fedeltà, sul loro
senso del sacrificio e sulla loro forza nel sopportare il dolore.
Oggi vi
voglio parlare di Agnes. E’ disperata e continua a chiedersi: “Why, God? What
will be of my life?” (Perchè Dio? Cosa ne sarà della mia vita?). E’ gravida all’ottavo
mese, ed è venuta per l’ecografia. A me è toccato l’ingrato compito di vedere
per primo il disastro. Ho preso il discorso alla larga e le ho chiesto: “quando
hai sentito il bimbo scalciare per l’ultima volta?” “stamattina... ne sono
assolutamente sicura. Perchè?! C’è qualche problema?”.
A questo punto avrei
voluto essere lontano 100 chilometri, ma c’ero solo io nella stanza con lei. Ho
dovuto raccogliere tutto il mio coraggio e le ho detto, tutto di un fiato e
senza guardarla negli occhi: “Il battito cardiaco è cessato, il tuo bimbo
purtroppo è andato in Paradiso di nuovo”. A questo punto mi sono chiuso come un
pugile nell’angolo del ring, pronto a ricevere una scarica di violente reazioni
a catena.
In effetti Agnes è scoppiata in un pianto dirotto e senza parole.
Riusciva solo a ripetere: “Dio, dimmi perchè?”. Sono passati attimi eterni, a
cui è subentrata la sua ricerca affannosa di spiegazioni: “Doctor, dimmi perchè
perdo tutti i miei figli quando la gravidanza è a termine. Mi avevi detto che
mi avresti aiutato. Avevi chiesto ai tuoi amici con internet. Ti avevano
consigliato di darmi delle medicine, ed io le ho prese tutte. Perchè allora? E’
la quarta volta che mi capita. Non ho figli viventi, e temo di essere mandata
via da mia marito. Che cosa ho fatto di male perchè Dio mi punisca così?”. “Non
hai fatto nulla – le ho detto accarezzandole la guancia e mettendole l’altra
mano sulla spalla – ed io non ho parole. Mi dispiace tantissimo, ma non lo so
che cosa ti stia succedendo. Scriverò ancora. Parlerò anche con altri medici a
Nairobi, ma tu ora devi farti forza. Dobbiamo rimuovere quel feto morto dalla
tua pancia, perchè ora sei a rischio anche tu.” “Non voglio che tu me lo tolga.
Voglio morire anche io con questo figlio. Non ne voglio altri. Ho sofferto
basta. Lasciami morire. Non ho la forza di sopportare i dolori di un altro
travaglio, sapendo che poi la fine di tutto quella sofferenza non porterà allo
sbocciare di alcuna nuova vita”. A che pro devo sopportare le doglie? “Dio lo
sa – le ho detto timidamente – io non ho spiegazioni e non voglio parlare perchè
staresti peggio.
Ti voglio solo dire che la settimana scorsa abbiamo avuto la
gioia di dare un figlio primogenito ad una donna che aveva abortito per 6
volte. Non abbatterti. La disperazione non ti aiuterà. Io pregherò per te.
Intanto vieni. Andiamo in reparto e iniziamo la flebo di ossitocina. Poi quando
tutto sarà finito, penseremo a cosa fare per il futuro. Per ora pensa a vivere”.
Ora Agnes è più serena. E’ sotto infusione e comincia a sentire le doglie. Ha
degli occhi profondi in cui intravedo un abisso di dolore, ma non piange più.
“Fatti
forza” ,le ripeto e poi non trovo il coraggio di dirle altro e mi allontano.
Vado a letto con questa domanda che mi ritorna in mente: “Perchè?”
Fr Beppe Gaido
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