venerdì 26 agosto 2011

Così passano le mie giornate


Ho appena terminato un cesareo, il quinto di oggi, ma il bimbo e' morto. La mamma veniva da molto lontano ed e' arrivata troppo tardi. Sono triste e stanco perche' e' notte fonda! 
Sono andato in crisi…, ma subito mi hanno chiamato perché c’era una donna in travaglio. L’ho visitata in barella e le ho detto di stare lì, intanto noi avremmo preparato la sala parto. Non so cosa le sia passato per la testa: ha deciso di andare al gabinetto fuori. 
Quando torno non la trovo più; la cerchiamo ovunque…non c’è. Dopo 15 minuti sento chiamare dal buio del cortile; chiamo il guardiano con le pile, andiamo e la troviamo che aveva partorito mentre era al gabinetto. Il bambino non respirava e la placenta era ancora dentro. Abbiamo preso una carrozzina, io tenevo il bambino per i piedi e gli battevo sulla schiena. 
In sala parto abbiamo tagliato il cordone ombelicale e poi abbiamo iniziato la rianimazione: ossigeno, farmaci, respirazione bocca a bocca,  ambu… Dopo  45 minuti il bimbo inizia a respirare da solo e dopo un’ora il primo grido. Quindi passo alla mamma, le tolgo la placenta e la sistemo. 
Tra me penso: ne ho perso uno, ma ne ho salvato un altro. In quello stesso tempo mi chiamano di corsa da un bambino di tre mesi. Arrivo in tempo per rianimarlo, disperazione della mamma, era il secondogenito, il primo era già morto per malaria, alla fine però anche questo muore. 
Altra crisi per me. Ma non mi posso fermare perché un’altra donna sta per partorire: questa volta tutto bene, il parto è regolare…nasce un bimbo di 3500 g ,bianco come me. 
Intanto è già mezzanotte e tutto il materiale è ancora da sterilizzare.   

Fr Beppe 

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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