domenica 11 dicembre 2011

L'addome acuto

In quest’ultima settimana abbiamo avuto quattro casi gravissimi di addome acuto, e, a motivo della presenza di Antonello unita allo sciopero dei medici che ha paralizzato l’ospedale distrettuale, abbiamo deciso di operare in tutti e quatto i casi. 
Il primo, di cui ho gia’ accennato sul blog, era un tumore forse benigno del discendente che aveva originato una intussuscepzione, con conseguente occlusione intestinale. Il paziente al momento sta benino ed ha un post-operatorio regolare. 
Il secondo caso e’ stato quello di un uomo anziano con addome peritonitico da molti giorni. Era stato ricoverato altrove per molti giorni alternando un alvo diarroico alla assenza di feci: cio’ aveva causato un ritardo nella decisione di intervenire. Entrati in sala abbiamo trovato una estesissima peritonite chimica da perforazione inveterata di ulcera duodenale. Abbiamo praticato la rafia del duodeno, un buon lavaggio peritoneale ed abbiamo messo in posizione dei drenaggi. Il malato era in condizioni gravissime, e purtroppo non e’ riuscito a superare lo shock anestesiologico, morendo la notte seguente senza mai risvegliarsi. 
Il terzo caso e’ quello di un giovane uomo presentatosi due giorni orsono con addome ligneo da peritonite, febbre a 40 e segni ecografici di versamento libero in peritoneo. Siamo entrati in sala di notte, ed abbiamo trovato una grave peritonite con materiale indigerito (porridge) unito a bile nella grande cavita’ peritoneale. In questo paziente, scorrendo e visionando tutto il tenue (che appariva estremamente flogistico), abbiamo repertato una perforazione tondeggiante, del diametro di circa 0.5 cm, a livello di una ansa ileale. Tale perforazione e’ tipica di febbre tifoide grave. Il malato ha ora un post-operatorio difficile: e’ confuso e violento, possibilmente per uno stato tossico legato alla malattia stessa (stato tifoide)... ma generalmente sta migliorando. 
Il terzo caso e’ stato quello di un uomo presentatosi ieri con sintomi di occlusione intestinale meccanica. L’ecografia pareva tipica di volvolo del sigma. Siamo intervenuti immediatamente, ma la situazione addominale e’ risultata molto diversa, ed onestamente tremenda. C’era una sindrome aderenziale pazzesca; la prima ansa digiunale aveva sviluppato una fistola su un’ansa necrotica in corrispondenza della fossa iliaca destra. Tale ansa inglobava anche la vescica e prendeva aderenze molto resistenti con altre parti del colon sia destro che sinistro. 
E’ stato un intervento difficilissimo durato 7 ore e mezza: si trattava di una massa tumorale del retto che aveva creato aderenze e fistole sul sigma e sul tenue. Alla fine abbiamo dovuto ricorrere alla rafia del tenue laddove si era perforato, ed ad una amputazione del retto con colostomia terminale permanente sul discendente. Il malato e’ in prima giornata post-operatoria; e’ molto grave , ma stabile. L’ultimo caso non era propriamente un addome acuto. 
Si trattava di una donna che vomitava tutto, compresa la saliva. Alla gastroscopia abbiamo documentato un avanzatissimo carcinoma dello stomaco in regione pilorica, cancro che aveva causato stenosi pilorica serrata. La donna aveva metastasi al fegato, ed abbiamo deciso per un intervento palliativo che le permettera’ di nutrirsi e di ingoiare anche la saliva. Abbiamo dunque deciso per una gastro-entero-anastomosi. 
Anche questa paziente sta ora andando bene ed e’ in terza giornata post-operatoria. Intravvedo nella chirurgia addominale d’urgenza una nuova fontiera per Chaaria: una frontiera esigente che richiedera’ molto impegno ed aumentera’ notevolmente il nostro carico di lavoro; ma e’ una frontiera a cui non dobbiamo chiudere il cuore perche’ si tratta quasi sempre di interventi salvavita. 
La mortalita’ perioperatoria e’ di necessita’ elevata, perche’ si tratta di malati gravissimi... ma dobbiamo tenere conto che, non operati, essi morirebbero tutti. Inoltre, in questo momento particolare, non avremmo alcun altro ospedale a cui mandarli. 

Fr Beppe 


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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