martedì 1 maggio 2012

Malaria: dati su un ceppo resistente alla terapia


Ci sono dati che suggeriscono che un nuovo ceppo  di plasmodio resistente ai derivati artemisinici in uso in Kenya come terapia di prima linea, si stia ampiamente diffondendo nella Nazione e nei Paesi limitrofi.
Per piu’ di otto anni, da quando gli antimalarici derivati dall’artemisina erano stati ampiamente adottati dall’OMS, si e’ pensato che ci fosse solo una piccola area di resistenza nella regione di confine tra Thailandia e Myammar (in Asia).
Studi campione raccolti a partire dal 2008 indicano che il plasmodium falciparum sta sviluppando resistenza soprattutto all’artemetere.
Una ricerca condotta alla St George’s University di Londra parla di percentuali di resistenza all’artemetere che si avvicinano al 50% in stranieri che avevano visitato il Kenya (tali dati sono stati pubblicati recentemente sul “Malaria Journal”).
Le autorita’ sanitarie in Kenya danno la colpa all’abitudine dei pazienti per l’autoprescrizione, per l’interruzione precoce della terapia prima del compimento dell’intero ciclo e per l’assunzione sotto-dose. Inoltre accusano medici e clinical officers di prescrivere all’eccesso i farmaci antimalarici in questione, anche senza aver confermato la diagnosi con un esame di laboratorio.
Se questi dati saranno confermati, potremmo essere davanti ad un nuovo momento critico nella lotta alla malaria, che per gli ultimi cinque anni aveva registrato importanti passi avanti, con riduzione sia della prevalenza che della mortalita’ in Kenya.
Fortunatamente non sembrano esserci dati di possibile resistenza della malaria al chinino, che pero’ e’ indicato solo nei casi di malaria complicata.
Fr Beppe Gaido

Fonti
Daily Nation, May 1 2012

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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