giovedì 5 luglio 2012

L'addome è la tomba del medico

E’ un proverbio che tutti gli studenti di medicina si sentono ripetere dai professori. Quando sei giovane non te ne rendi conto, ma poi la vita te lo insegna a muso duro: quanto e’ facile sbagliare diagnosi in caso di addome acuto, ed anche quando la diagnosi e’ corretta, quante sorprese alla laparatomia!
Ho ricoverato Francis l’altro ieri notte: non andava di corpo da 4 giorni; l’addome era disteso con anse “disegnate”. I borborigmi erano presenti, aumentati e metallici. Il paziente diceva di avvertirli, ma di non riuscire a fare aria. La palpazione addominale era dolente in modo diffuso, ma non c’erano ne’ rigidita’ ne’ segni di peritonismo. L’emocromo dimostrava un aumento moderato dei bianchi, attorno ai 10.000.
Siamo quindi entrati in sala abbastanza tranquilli pensando ad una occlusione meccanica. Francis aveva una lunga cicatrice addominale, e l’anamnesi ci aveva rivelato che era stato accoltellato molti anni prima: ci aspettavamo quindi delle aderenze e ritenevamo che la lisi delle stesse avrebbe risolto il problema.
Aprendo il peritoneo pero’ ci siamo trovati di fronte ad un enorme volvolo con necrosi irreversibile di un tratto di ileo lungo almeno un metro: e’ stato tremendo, non solo per la necessita’ di resezione e di anastomosi, ma anche perche’ le aderenze rendevano davvero difficile capire come la matassa intestinale fosse orientata... fortunatamente pero’ ce l’abbiamo fatta, ed il paziente e’ al momento stabile nel post operatorio, anche se la prognosi rimane riservata.



Oggi invece e’ arrivato Silas, con diagnosi di appendicite acuta fatta in un’altra struttura: la mia eco pero’ ha posto seri dubbi sulla suddetta ipotesi, documentando fluido libero nella cavita’ peritoneale in regione ipogastrica. I bianchi erano sui 15.000, il paziente molto disidratato e febbrile.
Anche per lui e’ stata una brutta sorpresa: l’appendicite ce l’aveva certamente avuta, ma all’atto operatorio abbiamo trovato una peritonite diffusa con pus tra le anse e con varie aderenza di tipo infiammatorio. Dopo aver aspirato, lavato e “srotolato” con pazienza l’intestino tenue, siamo riusciti finalmente a vedere il problema: il cieco in pratica non c’era piu’ a causa di una grossa ulcerazione necrotizzante che probabilmente era iniziata a livello appendicolare ed ora si estendeva su per l’ascendente per almeno 5 cm.
Anche oggi e’ stata durissima: il colon destro era tutto brutto a causa del pus e delle aderenze, oltre che a motivo della lacerazione cecale. Ho pero’ cercato di scheletrizzarlo in modo di avere spazio sufficiente per una anastomosi al di sotto della flessura epatica. Ho quindi optato per una amputazione del cieco con resezione dell’ultima ansa ileale a circa 20 centrimetri dalla valvola, ed anastomosi ileocolica latero-laterale.
Spero che il paziente sopravviva.
Di per se’ credo di aver fatto tutto bene, ma i tessuti su cui ho anastomizzato sono abbastanza battagliati a causa della peritonite. Inoltre l’isolamento dell’ascendente, in terreno infiammatorio, ha causato anche tante emorragie a nappo che solo in parte si sono fermate.
Adesso, dopo due sacche di sangue in sala, il paziente e’ stabile in reparto, ed io mi affido in parte alla “vis recuperandi naturae” ed in grandissima parte alla Divina Provvidenza.
Sempre comunque l’addome e’ la tomba del medico, ed e’ rarissimo che alla laparatomia, tu trovi veramente quello che avevi presupposto nella diagnosi clinica.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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