martedì 11 settembre 2012

Njagi e la sua famiglia

E’ stata una grande impresa di carita’ a fondo perduto, in cui Chaaria ha mantenuto fede al suo “sogno”. Ieri abbiamo finalmente dimesso il piccolo Njagi con sua mamma e la sua sorellina. 
Sono stati otto mesi e mezzo di ospedale: Njagi e’ infatti stato ricoverato in gennaio per una ustione molto estesa. 
La mamma era fuori nei campi; il papa’ gia’ ricoverato in un altro ospedale a motivo di una frattura di femore. Njagi, la sua sorellina ed un altro fratello erano soli in casa quando un incidente con la lampada a petrolio ha appiccato le fiamme alla magione di fango e paglia. E’ stato un attimo; tutto e’ andato in fiamme. La sorellina e’ stata la piu’ veloce a scappare ed e’ uscita dalla capanna illesa, mentre a Njagi sono cadute addosso delle fascine infuocate dal tetto, prima che riuscisse a mettersi in salvo. L’altro fratellino non ce l’ha fatta. E’ stato divorato dalle fiamme ed e’ morto in quel rogo. La mamma, dal campo vicino e’ corsa affannosamente, ma non avendo acqua a disposizione, non ha potuto che continuare ad osservare quelle fiamme che le stavano uccidendo il figlio e distruggendo la casa, mentre gia’ avevano ferito gravemente il suo primogenito Njagi. 
La donna ed i due bambini superstiti sono stati accompagnati a Chaaria dalle suore di Mukothima che fin dall’inizio ci hanno detto: “sono poverissimi e non potranno pagare niente”. Noi pero’ abbiamo sempre curato Njagi, e le sue ustioni sono gradualmente migliorate. 
Grazie al Dr Luciano Cara gli abbiamo anche fatto un amplissimo innesto cutaneo. Sua mamma e sua sorella sempre hanno avuto vitto ed alloggio gratuiti. 
Oggi le ferite erano chiuse, e la mamma ha chiesto di tornare a casa. Mi ha detto che certi “buoni samaritani” avevano ricostruito la capanna, e sarebbero venuti con dei vestiti nuovi per loro. 
Mi ha anche comunicato che il padre era ora dimesso: non era mai stato operato, ma in qualche modo adesso riusciva a camminare con un bastone. Naturalmente non ha chiesto quanto abbiamo speso in otto mesi di terapie intensive per il suo Njagi. 
Io non gliel’ho detto, ed ho pensato che queste cose le sa la Provvidenza, e che che certo la ricompensa del Signore non manchera’ per un simile successo terapeutico ed una tale azione di assoluta gratuita’. 

Fr Beppe Gaido 



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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