giovedì 29 novembre 2012

Terminato un incubo

Pochi minuti fa ho assunto l’ultima compressa della profilassi antiretrovirale che avevo iniziato 28 giorni fa dopo l’incidente in sala operatoria.
E’ stato un vero incubo, ed anche ora mi sento ancora malissimo!
Nausea continua, cefalea, conati di vomito, senso di svenimento, sudorazioni profuse, incapacita’ di nutrirsi.
E’ la seconda volta che assumo tale terapia: la prima volta era stato assolutamente piu’ facile… solo un po’ di neuropatia periferica da stavudina.
Ora le linee guida nazionali hanno sostituito la stavudina con la zidovudina: penso quindi che sia quest’ultima ad avermi dato tutti questi problemi.
Adesso che ho finito, ed ho resistito alla ricorrente tentazione di interrompere la terapia, sono anche contento di averla fatta… cosi’ non avro’ nulla da rimproverarmi in caso davvero succedesse qualcosa.
Mi e’ comunque servito molto stare cosi’ male: mi ha insegnato a capire di piu’ i miei malati!
Quante volte sono stato superficiale ed a volte duro con loro, quando mi dicevano di pesanti effetti collaterali della terapia! Non li ho mai compresi… li ho invece liquidati con parole frettolose e quasi stizzite: ma come fai a dire che i farmaci che ti stanno salvando la vita ti fanno tanto male?
Invece e’ possibile! Un detto inglese dice che “sometimes medicine is worse than the disease”, e devo ammettere che l’ho toccata con mano.
Anche questa esperienza mi insegnera’ ad essere piu’ comprensivo con i miei malati.
Mi viene in mente una mia amica ginecologa che ha fatto il mio stesso ragionamento, sebbene partendo da un’esperienza differente; mi ha infatti confidato: “non ho mai capito il dolore delle mie partorienti finche’ non ho dato alla luce il mio figlio primogenito”.
Ringrazio il Signore che mi ha dato una mano in un mese difficile, in cui lavorare in condizioni fisiche precarie e’ stato molto duro… e poi ringrazio tutti coloro che mi sono stati vicini con la preghiera, la fraternita’  e l’amicizia.
Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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