venerdì 19 aprile 2013

Africa nera

Il sole tramontava inesorabilmente e con la velocita’ che e’ tipica dell’equatore. 
Lo guardavo rosso sopra gli alberi mentre camminavo a passo veloce insieme ad Enrico. 
Avevamo fretta di arrivare in cima alla collina per una boccata d’aria dopo una giornata tremenda. 
Il sentiero si inerpicava, ed un piacevole venticello serale faceva ondulare l’erba. Temevamo un po’ le zanzare, perché sapevamo che al tramonto esse diventano più assetate di sangue. 
"Muga! Mugheni! Ni buega! Eta buega!". La gente, che ritornava alle capanne, ci salutava sorridendo. Dopo tanti anni oramai ci conosce, e la nostra presenza e’ familiare per tutti. Rapidamente a quest’ora i pendii della collina entravano nell’ombra. Le baracche dei venditori eran chiuse, solo qualche luce balenava lontano. 


 
I banani erano fitti, l'erba alta interrompeva i campi di mais, cotone e fagioli. Poco in là si ergevano degli alberi alti e delle macchie fitte e poi, lontano, la cima di colline azzurre, che si perdevano nel cielo della sera. 
I miei occhi non si staccavano dai bambini. 
Provavo brividi di freddo. "Forse è la malaria", pensai, e vidi una lucciola passarmi davanti e sparire come un puntino luminoso nel folto della savana. 
"Non sono soli - mi dissi - . La mamma è qui e vigila sul loro futuro". 
“Dove vivono questi bambini?” mi chiedevo in cuor mio. Vedevo attorno a me le loro abitazioni. 
Le loro baracche erano povere, senza protezione. Dalle fessure entravano gli insetti, che, annidandosi nei pori della pelle, portavano malattie e infezioni. Ci vennero incontro sorridenti. Erano bellissimi. Sembravano tutti della stessa età. Portavano addosso pochi stracci, che pulivano con cura, perché non ne avevano altri. Ci accompagnarono al fiume, tra piante di papaia, mango, canne da zucchero e banane. 
Eravamo fratelli nell'Africa nera. 
Essa era per noi come una di quelle storie d'amore, che si ricordano tra le più belle e indimenticabili. 
“Ma e’ gia’ notte,e dobbiamo tornare subito; altrimenti non vedremo piu’ nulla sul sentiero e rischieremo di perderci”. 

Fr Beppe Gaido






Nessun commento:


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


Guarda il video....