giovedì 1 agosto 2013

Elizabeth Gacheri

Con grande tristezza diamo notizia della morte della nostra dipendente Elizabeth Gacheri, di 35 anni, madre di due bambini e sorella della nostra assistente di sala Evanjeline Kanja.
Elizabeth lottava da quasi due anni contro un tumore della mammella che si era presentato in una forma molto anomala: aveva subito ben due biopsie per linfonodi del pilastro anteriore dell’ascella, entrambi positivi per cancro. La mammografia e l’eco mammaria erano però sempre risultate negative.
Data la complessità diagnostica, l’avevamo perciò affidata alle cure del Kenyatta National Hospital di Nairobi, dove Gacheri ha subito dapprima mastectomia e poi chemioterapia.
Per circa un anno la sua salute è andata bene. La malattia sembrava sotto controllo e lei non accusava importanti effetti collaterali per la chemio.
Poi il tracollo è arrivato veloce, quasi improvviso,  circa tre settimane fa: si è rivolta a me per un dolore sordo all’epigastrio, e purtroppo l’ecografia mi ha mostrato una diffusione metastatica impressionante. 
Presto le sono gonfiate le gambe, poi è arrivata l’ascite. Fortunatamente l’analgesia da noi impostata si è rivelata efficace e siamo riusciti a controllarle il dolore pressochè completamente. Da alcuni giorni era subentrata una certa confusione mentale, e da ieri non riconosceva più nessuno, salvo in rari attimi di lucidità.
Se n’è volata in cielo alle 16.30 di oggi pomeriggio.
Lascia un marito disoccupato con due figli sulle spalle, ed una sorella che probabilmente dovrà prendersi cura di quei bambini.
Ciò che ha aiutato Gacheri nel suo Calvario è stata una potentissima negazione freudiana che ha costruito un muro tra lei e la verità, un muro che Gacheri non ha mai avuto la volontà di infrangere. 
Ha affrontato la mastectomia con non-curanza; anche la chemio andava a farla con non-shalance; quando è stata ricoverata per la malattia terminale, si è aggrappata ad un test per la malaria positivo, ed ha continuato a negare l’evidenza. 
Io ho provato ad affrontare con lei il discorso delle metastasi, ma Freud è venuto in suo soccorso: “saranno effetti collaterali dei farmaci che mi fanno a Nairobi”.
Ieri, come spesso accade, in un breve momento di lucidità, Gacheri ha avuto il suo canto del cigno: ha detto di sentirsi molto meglio e di voler essere dimessa... poi è ripiombata nel suo ottundimento senza dolore.
Spiace sentire i commenti di tanta gente qui attorno: “le è stata fatta una fattura! Le hanno mandato il malocchio!” Sappiamo comunque che la superstizione è un nemico dell’umanità a tutte le latitudini.
Forse non molti volontari la ricordano perchè era molto umile: lavorava come “subordinate staff” nel corridoio del dispensario, e, oltre che della pulizia, si occupava anche degli orfani e della ricezione dei nuovi ricoverati, a cui dava la divisa, accompagnandoli poi in reparto. Gacheri era anche quella che lavava e cambiava i nuovi pazienti, quando in carrozzina o in barella. Qualche volta ha anche fatto da traduttrice per i medici ed i chirurghi durante la loro attività ambulatoriale.
A questo punto, anche a nome di Elizabeth Gacheri che ora è in Paradiso, non posso non ringraziare il Dr Lino Marchisio ed i suoi collaboratori per aver voluto sponsorizzare la chemioterapia a Nairobi. 
Purtroppo è stato inutile, ma è stato importante provarci. Abbiamo davvero fatto tutto il possibile per lei.
Sono sicuro che Gacheri pregherà ora per chi l’ha aiutata durante la sua malattia. Oggi mi trovo a non avere una sua foto, ma ne pubblicherò una bella nei prossimi giorni, in modo che chi la ricorda possa più facilmente pregare per lei.
Naturalmente ora rimane il dolore.
Più avanti bisognerà affrontare il problema dei bambini.


Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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