Catherine viene
ricoverata per enorme epato-splenomegalia con anemia grave. Eseguiamo immediatamente
un emocromo, e la sua emoglobina risulta di 3 grammi.
La prima cosa da fare è
certamente la trasfusione: ci vorranno parecchie sacche di sangue per farla
star meglio.
Ma all’emocromo c’è
un’altra cosa che attira il nostro sguardo: un numero spropositato di globuli
bianchi che superano i 350.000. La maggior parte di loro è costituita da
granulociti neutrofili.
Ordiniamo lo striscio su
sangue periferico ed otteniamo la diagnosi che già sospettavamo: ci sono
tantissimi blasti in circolo, e quindi non ci sono dubbi sul fatto che si
tratti di una leucemia mieloide.
Uno striscio così chiaro
ci porta ad astenerci dal puntato midollare, che sarebbe costoso e molto
doloroso per la paziente.
La diagnosi è fatta... e
adesso?
Ora viene il momento più
difficile!
“Catherine, hai una
malattia del sangue che può essere molto pericolosa per la tua vita. Ci sono
delle medicine che ti potrebbero guarire da questo male, ma dobbiamo mandarti
al Kenyatta National Hospital a Nairobi. Cosa ne dici?”
Catherine ascolta stralunata
e non smette di allattare il bimbo di nove mesi che ha attaccato al seno; il
suo sguardo perso non mi permette di rendermi conto se ha compreso o meno la
serietà della sua situazione.
“Io non ho un marito, e
certamente non ho soldi per andare al Kenyatta!”
E’ la solita trafila, la
consueta frustrazione che proviamo di fronte a tali situazioni.
Fai la diagnosi e poi lì
ti fermi, in tutta la tua impotenza.
Sono le occasioni in cui
tocchiamo con mano il limite della medicina, quel confine invalicabile
costituito dai nostri limiti umani e dalla scarsità delle nostre risorse, che
in un ospedale rurale africano sono certamente molto più forti che in una
clinica universitaria europea.
Che corsa potremo fare
per Catherine?
Trasfonderla ogni volta che sarà necessario,
cercare di domare il suo dolore quando sarà insopportabile... ma poco altro:
non modificheremo di un solo giorno la storia clinica del male che la sta
uccidendo.
E per la piccola che ha
attaccata al seno che cosa potremo fare? Purtroppo per lei penso che potremo
fare ancor meno.
Fr Beppe
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