lunedì 9 settembre 2013

Morsi di serpente

Una evenienza non infrequente, soprattutto nella stagione delle piogge, e’ quella di ricevere un paziente che e’ stato morso da un serpente. A volte il malato viene in ospedale portando con se’ l’animale morto, e questo in qualche modo ci facilita la diagnosi. Spesso pero’ dice di non aver visto il rettile. La diagnosi e’ quindi di sospetto, soprattutto analizzando il sito del morso con una lente di ingrandimento. Normalmente la distanza tra i due aculei ed il modo con cui essi sono entrati nei tessuti possono aiutare nella diagnosi.
Sovente e’ anche molto difficile analizzare il sito di inoculazione, perche’ i pazienti hanno gia’ applicato la “pietra nera” (black stone), prima di venire all’ospedale. Tutti qui hanno questo importante salvavita a casa. E’ uno dei rimedi piu’ conosciuti dalla medicina tradizionale, che io comunque cerco di rispettare: infatti se tutti la usano, non solo in Kenya, ma anche in altri Paesi africani, vuol dire che ci deve essere qualche base scientifica al suo funzionamento. Ho cercato di capire di cosa si tratta, ma e’ molto difficile cogliere la verita’, perche’ spesso i guaritori tradizionali sono gelosi dei loro segreti. La pietra nera viene applicata direttamente alla zona del morso; viene tenuta schiacciata per alcuni istanti finche’ prende adesione autonomamente. La credenza popolare e’ che rimarra’ attaccata alla cute finche’ tutto il veleno sara’ riassorbito; e poi si stacchera’ da sola.
Osservandola attentamente, mi pare che possa trattarsi di un osso piatto di qualche animale, osso che e’ stato poi abbrustolito alla fiamma. La ragione per cui si attacca alla pelle e’ da ricercare nella porosita’ del tessuto osseo, mentre la sua efficacia potrebbe derivare proprio dal fatto che, assorbendo secrezioni biologiche nella zona di inoculo, potrebbe contribuire alla eliminazione del veleno prima che lo stesso possa entrare in circolo.



A Chaaria abbiamo sostanzialmente due tipi di serpenti velenosi, entrambi appartenenti alla famiglia degli elapidi: il mamba nero (molto meno velenoso del mamba verde della costa) ed il cobra (spitting cobra).
I segni piu’ comuni di avvelenamento sono da dividere in due gruppi:
1) Effetti locali: dolore, apparizione di flittene, gonfiore, formazione di pus e necrosi dei tessuti.
2) Effetti sistemici: vomito, cefalea, collasso, prurito generalizzato e a volte attacco asmatico. Molto raramente aritmia cardiache anche gravi.
3) Effetti da saliva del cobra: spesso il cobra non morde, ma sputa a distanza: questo gli serve per accecare momentaneamente la preda, disorientarla e poterla raggiungere senza problemi per inghiottirla; oppure gli serve per far allontanare il pericolo. Ha una mira infallibile e colpisce sempre negli occhi, causando nell’uomo gravi congiuntiviti, ma ordinariamente non cecita’.

Nella nostra esperienza gli effetti locali e quelli oculari sono i piu’ frequenti. Sentiamo a volte di pazienti che muoiono prima dell’arrivo in ospedale, ma normalmente la mortalita’ di coloro che sono giunti fino a noi e’ pressoche’ nulla.

Il nostro approccio al paziente avvelenato puo’ essere sintetizzato nel modo seguente:
1) proponiamo a tutti il ricovero al fine di essere pronti per eventuali complicazioni (anafilassi, crisi asmatiche, aritmie cardiache). Da segnalare che, non avendo viperidi nella nostra zone, normalmente i nostri pazienti non hanno problemi di carenze coagulative.
2)  SIERO ANTIVELENO: ho da tempo deciso di non usarlo, sia perche’ le evidenze sientifiche sulla sua efficacia sono contraddittorie, sia perche’ il siero stesso e’ gravato da un numero elevato di effetti indesiderati a volte anche gravi (shock allergico e morte). Altra ragione per cui preferisco non usarlo e’ rappresentata dal fatto che qui non troviamo il siero monospecifico (cioe’ attivo contro una sola specie di serpenti), ma piu’ efficace. E’ disponibile solo siero multivalente, che ha una protezione molto bassa per molte specie, ed e’ gravato da una percentuale notevole di reazioni allergiche.
3)  A tutti i pazienti facciamo un richiamo antitetanico, perche’ i denti dei serpenti possono trasmettere il tetano.
4)  Somministriamo antibiotici ad ampio spettro per almeno 7 giorni: osserviamo l’area per possibile necrosi o formazione di ascesso. In questo caso procediamo alla toeletta chirurgica con paziente sedato. Normalmente l’infezione distrugge il muscolo e richiede un tempo lungo di guarigione. Non si osservano comunque complicazioni gravi come la osteomielite, e non abbiamo mai amputato nessuno dopo un morto di serpente.
5)   A scopo antiallergico e antiedemigeno (antigonfiore) pratichiamo del cortisone ev per vari giorni.
6) Da subito bendiamo l’arto e applichiamo dell’ittiolo. Cerchiamo anche di immobilizzarlo, in modo da ridurre la attivita’ muscolare che potrebbe favorire l’ulteriore diffusione del veleno. Non rimuoviamo mai la pietra nera. Quando poi c’e’ da fare una incisione d’ascesso o una toeletta chirurgica, il tipo di medicazione sara’ quello indicato nel testo precedentemente scritto, riguardo alle piaghe.
7)  Dichiariamo il paziente fuori pericolo per reazione allergica dopo 24 ore di ricovero, ma non gli permettiamo di camminare per almeno 7 giorni, per evitare sia la diffusione del veleno che accidenti tromboembolici. Prima di iniziare a camminare, il paziente fara’ fisioterapia passiva a letto. Non uso normalmente profilassi con eparina perche’ ho sempre paura di turbe coagulative da veleno, anche se, come ho detto, non abbiamo viperidi.
8)  Nel caso di spitting cobra e’ importante lavare abbontandemente la congiuntiva con soluzione fisiologica. Poi somministriamo colliri cortisonici tre volte al di’ per circa 7-10 giorni. Si fa una medicazione occlusiva per almeno tre giorni. Poi si consiglia al paziente di evitare la luce solare diretta per un’altra settimana.

I mesi piu’ a rischio per morso di serpente sono quelli di aprile e novembre, in quanto i rettili cercheranno luoghi asciutti come marciapiedi, grosse pietre soleggiate per riguadagnare un po’ della temperatura corporea.
I luoghi piu’ a rischio sono le pietraie vicino ai torrenti.
Altra attivita’ umana a rischio e’ quella agricola: soprattutto tagliare foraggio per le mucche, perche’ spesso la persona, che qui usa la panga per questo lavoro, e’ chinata in avanti, ed e’ quindi nella posizione migliore per ricevere uno sputo del cobra negli occhi. Sempre molto a rischio e’ camminare fuori sentiero senza indossare scarponi o stivali.
Spero che queste indicazioni possano essere di aiuto ai volontari che si preparano per venirci ad aiutare a Chaaria.
Pero’ non fatevi prendere dal panico: ricordatevi che le vipere ci sono anche sulle Alpi e sull’ Appennino.


Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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