martedì 3 settembre 2013

Suggestioni di Chaaria

Ieri era il 2 settembre, una data certamente molto significativa per tutti coloro che amano e conoscono la spiritualità di San Giuseppe Cottolengo.
Il 2 settembre 1827 infatti il canonico Cottolengo era profondamente in crisi e veniva chiamato in una stalla non lontana dalla sua parrocchia per amministrare il sacramento degli infermi ad una giovane donna morente. 
La donna, di nome Maria Giovanna Gonnet, era in viaggio con la diligenza da Milano verso la Francia, e divenne molto malata strada facendo: fu portata all’ospedale della maternità in quanto incinta, ma in esso fu rifiutata perchè febbricitante (ed allora non c’erano antibiotici, per cui si temevano le epidemie di malattie infettive). 
Il marito la portò dunque all’ospedale generale delle Molinette, ma in esso non fu ricoverata in quanto gravida, ed in quella struttura non esisteva una maternità. 
Ecco quindi che già nel 1800 qualcuno poteva essere rifiutato e morire abbandonato in una stalla a causa della burocrazia.
Le condizioni peggiorarono rapidamente e per il marito, povero ed incapace di affittare una stanza in un albergo, non rimase che essere portato in quella stalla dove i gendarmi radunavano i vagabondi ammalati.
La scena che il Cottolengo si trovò di fronte al suo arrivo fu devastante per la sua anima in ricerca: una donna abbandonata e priva di cure, i figli che la guardavano piangendo disperatamente, il marito che imprecava contro un sistema sanitario che, con regole rigide e senz’anima, aveva rifiutato la sua sposa ora in fin di vita.



Il medico dei poveri (una figura di medico condotto già esistente ai tempi del regno sabaudo) fu chiamato ed in effetti venne in fretta, ma non fu in grado di salvare la paziente che morì subito dopo aver dato alla luce un figlio anch’esso destinato ad andare in Paradiso pochi minuti più tardi, subito dopo aver ricevuto il battesimo per mano del Cottolengo.
La scena fu devastante per il nostro santo!
Perchè il Signore aveva voluto che fosse testimone di un avvenimento così triste ed ingiusto? Perchè lo aveva portato ad essere protagonista di una scena surrreale in cui una mamma moriva abbandonata in una città piena di ospedali, in cui i bambini piangevano con occhi sgranati di fronte al corpo della loro mamma e del fratellino ultimogenito, ed in cui un marito disperato bestemmiava e se la prendeva con Dio?
Il nostro fondatore ha avuto il coraggio di interrogarsi e di chiedersi quale fosse il messaggio che Dio gli stava dando attaverso quella scena: nelle lacrime, in quel momento devastante, in quella stalla colma di sangue e di dolore, il Cottolengo ha ricevuto come una nuova vocazione; è stato chiamato e convertito nuovamente.
La nuova vocazione che il Cottolengo ha sentito in cuore gli chiedeva di donarsi completamente per i poveri al fine di evitare che fatti come quelli relativi a Maria Giovanna Gonnet potessero ripetersi ancora: si è sentito chiamato a vivere per i più poveri, per coloro che sono abbandonato dall’ente pubblico. Ha capito che il Signore lo voleva testimone del suo amore misericordios per i più abbandonati, affinchè nessuno potesse più morire da solo.
Ed è da questa esperienza di dolore che è nata l’avventura della Piccola Casa: non da un’illuminazione interiore, da una caduta da cavallo come avvenne a San Paolo, o da un corso di esercizi spirituali!
Ed è proprio da tale evento che mi vengono alcune suggestioni relative a Chaaria, pur con umiltà e senza volerci paragonare in alcun modo al Cottolengo, ma sperando nel contempo di ripercorrerne le orme e di essere a lui fedeli.
Quasi sempre i nuovi servizi sono nati da una esperiernza di morte, di abbandono e di povertà: ripenso ai tanti bambini che vedevo morire come mosche e che non riuscivo a salvare; furono le loro morti innocenti a spingermi ad attrezzare Chaaria per le trasfusioni. Rivado con la mente alla prima donna che ha chiesto di partorire a Chaaria perchè non aveva soldi per andare in altri ospedali; le ho detto di no, perchè non eravamo attrezzati, ed essa si è seduta al cancello della missione ed ha partorito sulla terra, sicura che poi l’avremmo aiutata. 
Quel parto per strada è stato per me uno shock che mi ha convinto che dovevamo iniziare con il servizio della maternità. Non potrò mai dimenticare la ragazza a cui agli albori di Chaaria ho detto di no per un raschiamento. L’ho indirizzata ad un ginecologo perchè io non sapevo cosa fare per lei. 
La giovane però non ha mai trovato i soldi per l’altro ospedale ed è morta a casa per anemia. Quella vita stroncata dalla mancanza di soldi mi ha convinto che avrei dovuto imparare tale pratica clinica per il bene di tante altre persone povere come lei.
Anche noi, come il Cottolengo, ci siamo trovati di fronte a scene inquietanti, a situazioni devastanti e ci siamo chiesti: perchè il Signore ha voluto che noi fossimo testimoni di questo avvenimento? Che cosa ci vuol dire attraverso di esso? Quale chiamata ha in serbo per noi attraverso tale sofferenza?
Pure noi, come il Cottolengo, abbiamo avuto il coraggio di lasciarci interpellare; non abbiamo fatto orecchio da mercante ed abbiamo cercato di dire, in comunione con il nostro fondatore: “facciamo di tutto per evitare che situazioni del genere si ripetano in futuro. Impegnamoci per chi è rifiutato e non ha dove andare per chiedere aiuto”.
La storia della Piccola Casa nasce da una donna che muore; quella di Chaaria nasce da tante morti e situazioni estreme che hanno toccato il nostro cuore.
L’avventura della Piccola Casa prende le prime mosse da una donna gravida; e così è anche stato per tutta l’attività osterico-ginecologica di Chaaria che tanto preponderante è diventata nel corso degli anni.
Sono suggestini di grande incoraggiamento per me perchè mi aiutano a comprendere che Chaaria è in linea con la spiritualità e con gli ideali di San Giuseppe Cottolengo.


Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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