venerdì 11 ottobre 2013

Il viaggio della speranza

Eccomi qua, sulla spiaggia dove la sabbia del Sahara si perde impercettibilmente tra le onde del mare. 
Mi hanno detto che si chiama Mediterraneo, e che questa parola significa: “tra le terre”. 
E’ l’ultimo grande ostacolo tra me e la fine del mio incubo. Lo guardo con stupore e meraviglia: e’ cosi’ grande e azzurro. Le sue onde mi bagnano i piedi e la spuma bianca mi incanta. E’ la prima volta che vedo il mare, e mi pare un gigante bello, ma anche pauroso. Devo stare attenta, e nessuno mi deve vedere, perche’ anche in questo Paese io sono “nessuno”: se mi pescano, verro’ arrestata perche’ ci sono entrata illegalmente, e lo stesso devo fare per uscirne.
Quante cose sono successe da quando sono scappata dal mio villaggio sperduto.
Ho viaggiato in autocarri, nascosta in mezzo alle mucche o stipata insieme a mercanzie di vario genere. 
Ogni volta che la polizia fermava l’automezzo, tremavo come una foglia al pensiero di venire scoperta: il rischio non era solo quello di essere rimandata a quella miseria e fame da cui stavo fuggendo, ma addirittura quello di essere uccisa o incarcerata. 




So benissimo che anche ora sto mettendo a repentaglio la vita dei miei cari, perche’ forse il governo se la prendera’ con loro, li vessera’ e magari togliera’ loro tutti i diritti civili, come punizione per la mia fuga. 
Ma quale speranza avevo? Non avevamo soldi; il lavoro era difficilissimo da trovare. Gli uomini della nostra famiglia sono tutti arruolati in un servizio militare che non finisce mai, e quindi a casa praticamente non ci torneranno, se non quando saranno troppo vecchi per sostenerci e proteggerci. Avrei dovuto fare la prostituta? Avrei forse dovuto accettare di essere venduta come schiava?
Attraversare i confini e’ sempre stato un terno al lotto. Sapevo con certezza che, se un ciuffo dei miei capelli fosse stato notato tra le schiene delle mucche in mezzo alle quali mi nascondevo, un colpo di fucile avrebbe messo fine immediatamente al mio sogno di una vita migliore in cui avrei potuto guadagnare abbastanza soldi da poterli mandare  a casa, per aiutare i miei fratelli a completare i loro studi.
Anche solo a pensarci un attimo con serieta’, nessuno potrebbe pensare che una persona accetti di lasciare tutti i propri averi, il proprio sposo, la propria casa, se la situazione non fosse terribile. 
Non si possono affrontare viaggi cosi’ pericolosi, solo per il gusto dell’avventura. Io poi ho dovuto pagare una cifra enorme; spendere tutti i miei risparmi per pagare questi trafficanti che hanno promesso di portarmi in Europa. Anche da questo punto di vista, si tratta di un viaggio senza ritorno: non ho piu’ nulla nel mio Paese, e se ci ritornassi ora, sarei ridotta a mendicare o ad accettare la schiavitu’.
Mi hanno detto che il Mediterraneo a volte e’ cattivo e che mangia tra le sue onde impetuose tanti emigranti speranzosi, che mai vedranno la loro “terra promessa”, altri sostengono che e’ soprattutto causa delle terribili condizioni in cui sono ridotte le barche usate per queste immigrazioni illegali: gia’… illegali! E pensare che in patria io ho cercato di non rompere mai le regole o la legge. 
Ora pero’ saro’ una illegale, e quindi una criminale, soprattutto perche’ le vie “normali” mi sono state precluse. 
Se fosse stato possible avere un passaporto e viaggiare regolarmente verso l’Europa, pensate che avrei preferito rischiare la vita attraversando cosi’ tante frontiere da fuorilegge? Spesso pero’ e’ impossibile uscire dalle proprie nazioni, e la nostra deve diventare una fuga in cui investi tutto, anche mettendo in conto la possibilita’ di perdere la vita in mare, o di essere incarcerato per anni ed anni.
Speriamo solo di non essere intercettati dalla guardia costiera. Ho sentito che in passato vedere all’orizzonte una motovedetta era una specie di miraggio, o, se volete, la fine di un incubo, perche’ i marinai gentilmente ti avrebbero accolto sulla loro nave, ti avrebbero quindi salvato dalla possibilita’ di finire in mare ad ogni onda un po’ piu’ grande del normale; ti avrebbero coperto con vestiti caldi, ti avrebbero dato acqua potabile per calmare la sete che bruciava la tua gola riarsa dal sole cocente, ti avrebbero rifocillato lo stomaco come forse non accadeva da anni. Poi ti avrebbero portato a terra in centri di raccolta in cui avresti potuto spiegare le tue motivazioni, e sperare che un funzionario sensibile capisse la genuinita’ della tua richiesta di aiuto.
E’ vero che tra di noi ci sono avventurieri, ma e’ anche vero che non siamo tutti uguali.
E’ una sacrosanta verita’ che in Europa ci sono gia’ troppi immigrati, e che sarebbe meglio instaurare delle politiche economiche che permettessero ai nostri Paesi di origine di crescere e di assicurarci una vita confortevole senza bisogno di fuggire da essi. Ma quanti anni ancora ci vorranno perche’ cio’ possa diventare realta’! Quante bambine dovranno ancora diventare schiave, quante giovani dovranni prostituirsi, quanti piccolini dovranno morire di fame prima che ovunque si instaurino democrazia e diritti umani per tutti!
“Signore, fa’ che il mare non ci inghiottisca, e fa’ che non incontriamo una motovedetta. 
Essere rispediti indietro in Africa sarebbe la fine di tutti i nostri sogni, di tutti i piani economici per il sostegno delle nostre famiglie… e probabilmente sarebbe anche la fine della nostra stessa vita”.

(dedicato alla memoria dei morti di Lampedusa, ed a tutti quelli che in mare hanno perso la vita nel loro viaggio della speranza).

Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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