sabato 2 novembre 2013

Finita un'epoca

Con l’avvento della nuova lavanderia, ormai quasi completata, e con l’inizio dei lavori per la costruzione della nuova maternità, è storicamente finita la lunga esperienza delle messe domenicali nella vecchia lavanderia.
Eravamo molto legati a quel posto, in cui abbiamo celebrato tante eucarestie e battezzato tanti bambini. 
In esso poi Sr Oliva teneva i suoi orfani durante il giorno, e spesso lì facevamo anche le nostre riunioni con lo staff... ma ora i muratori lo stanno sventrando per fare posto al nuovo progetto che la Divina Provvidenza ci concede di portare avanti.
Oggi, 2 novembre e commemorazione di tutti i fedeli defunti, abbiamo celebrato la nostra prima messa con i pazienti, nel locale che abbiamo identificato per questo fine.
Si tratta del nuovo stenditoio coperto che abbiamo ricavato nel praticello che c’era di fronte alla stanza di Naomi.
L’esperienza di oggi è stata positiva, e, nonostante il fatto che ci dobbiamo ancora un po’ abituare ed organizzare, la nuova collocazione ci pare adeguata e conveniente: è vicina ai reparti, è ancor più capiente della vecchia lavanderia, è raccolta e silenziosa, ci sono spazi anche per le carrozzine dei malati e dei Buoni Figli.



Forse la messa in lavanderia mancherà a molti volontari che vi hanno partecipato per molti anni (pure io ne sono un po’ nostalgico), ma sono convinto che a tutti piacerà la “nuova cappella dell’ospedale” di cui potete vedere una foto.
Domani celebreremo la prima eucarestia domenicale nella nuova sede, e cercheremo di solennizzarla con una buona dose di canti tradizionali in Kimeru.
Un giorno forse costruiremo una vera cappella in muratura per l’ospedale, ma per adesso va bene così.
“Grazie, Signore, per i continui passi avanti che ci concedi di fare!”


Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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