giovedì 6 marzo 2014

Intubare o non intubare

Janet arriva a Chaaria a 27 settimane di età gestazionale.
Ha delle contrazioni tremende e purtroppo ha una dilatazione cervicale pressochè completa.
Inutili sono i nostri tentativi di fermare le doglie, e la donna partorisce un bimbo severamente pretermine, ma ancora vivo.
Al parto segue purtroppo un’importante emorragia, che richiede l’intervento urgente delle ginecologhe Lucia e Fausta per una revisione della cavità uterina.
Nel frattempo il pediatra Roberto sta cercando di rianimare il bimbo che sembra avere una importante immaturità polmonare.
A lui si presenta la difficile decisione: “lo intubo questo bimbo, oppure no?”
Roberto sonda il terreno con lo staff di Chaaria e viene dissuaso da quasi tutti: “è troppo pretermine per poter sopravvivere senza la possibilità di metterlo in terapia intensiva... non abbiamo un respiratore, e quindi come facciamo a continuare a ventilarlo manualmente con l’ambu per tutta la notte o forse anche di più?”.



Nonostante tutto, la coscienza di Roberto lo porta in un’altra direzione: egli intuba il piccolino verso le ore 19 per tentare il tutto e per tutto. Naturalmente, nel frattempo continua a somministrare tutti i farmaci di rianimazione a nostra disposizione.
Roberto continua ad insufflare aria nei polmoni della piccola creatura, che nel frattempo viene anche battezzata da Fr Giancarlo. A sua disposizione per ventilare ha naturalmente solo l’ambu neonatale.
Il tempo passa e non ci sono segni di miglioramento: l’attività respiratoria rimane del tutto assente, ma il cuore continua a battere, per cui bisogna continuare con la ventilazione.
Sono le 22.45 quando anche il piccolo cuoricino si ferma e Roberto deve accettare l’ineluttabile: il piccolo muore, lasciando in tutti un senso di vuoto e di sconforto.
Lo sappiamo tutti che era una battaglia persa e che quei piccoli polmoni non avrebbero mai potuto espandersi nell’atto respiratorio spontaneo, ma sappiamo anche che è stato giusto tentare, fare tutto quello che potevamo... anche se in cuor nostro lo sentivamo già dal primo momento che saremmo stati sconfitti dalla morte.


Fr Beppe 


1 commento:

Anonimo ha detto...

Un abbraccio stretto a Lucia e Roberto.....e a tutti voi! Siete speciali!Vi siamo vicini Anna Maria, Antonio e il piccolo Francesco da Cagliari.


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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