domenica 30 novembre 2014

Lettera di Lucia

Caro Beppe ,
ho fatto passare qualche giorno prima di scriverti per far sedimentare le emozioni.
Al quinto viaggio mi sembra di iniziare a capire lo spirito con cui bisogna andare a Chaaria e cioè mettersi a fianco degli operatori del posto e collaborare con loro.
All'inizio ti sembra che vuoi cambiare tutto ,ma è vero: non bisogna pensare a fare cose che poi non possono essere continuate.
Nelle volte che sono andata ho visto l'ospedale crescere e garantire alle persone un servizio sempre più (non so se mi viene il termine giusto) efficiente o adeguato anche a quelli che sono i nostri standard. 
Ho seguito meglio il lavoro che fanno le ostetriche e piano piano mi sento integrata con loro. Con le ragazze della sala è più semplice perchè si lavora allo stesso modo, se non meglio, a Chaaria.
Il tempo è passato sereno e sicuramente ho lavorato meglio.
Vorrei dirti tante altre cose ..... Mi sono trovata bene anche con le ragazze, sembrava di essere a casa con figlie femmine (io ho solo maschi) e la loro presenza mi ha portato a seguire meglio le donne ricoverate.
So benissimo che 15 giorni sono pochi, ma in questo momento non potevo di più. Invece è andata bene e conto di ritornare per un periodo più lungo.
Ti abbraccio e ti chiedo di portare a tutti i nostri saluti...a presto.


Dr Lucia Floris (Ginecologa di Cagliari)


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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