domenica 21 dicembre 2014

Come lucertole

Specialmente dopo le piogge, stagione in cui il clima è stato più frescolino e le nuvole l’hanno fatta da padrone sovente anche durante le ore del giorno, i nostri pazienti amano moltissimo passare ore ed ore a riscaldarsi sotto i caldi e benefici raggi del sole.
Escono dalla camera già alle 7 di mattina per cogliere il sole dell’aurora, ma li puoi trovare nella stessa posizione pure al pomeriggio.
Non è infrequente vederli sdraiati sull’erba o addirittura sui marciapiedi, dove il riverbero del sole offre loro un po’ di calore anche sulla schiena.
Scene come quelle che presentiamo nelle due foto di oggi sono normalissime per noi, e fanno parte dello stile di vita dei nostri ricoverati, che non amano stare a letto sotto le coperte e che spesso in camera sentono freddo persino quando per noi europei è già afoso.
Noi li lasciamo fare e rispettiamo i loro desideri: normalmente portiamo loro medicine e cibo lì dove sono, senza richiedere loro di rientrare in reparto. Certo, ciò costituisce uno sforzo in più per gli infermieri che somministrano la terapia, perchè, quando i malati non rispondono alla chiamata in stanza, bisogna supporre che essi stiano “facendosi l’abbronzatura” fuori. 



Tra i malati spesso gironzola qualche gallina “randagia”, molto interessata alle briciole che i malati spandono a piene mani sull’erba. E’ una simbiosi abbastanza naturale e nessuno dei malati ci fa caso.
Il nostro è un ospedale africano rurale, dove tante abitudini sono assai lontane da quelle dei nostri reparti europei super-tecnologici e sterili... ma i nostri pazienti comunque guariscono, e la percentuale di mortalità per il 2014 è al di sotto del 3% dei ricoveri, mentre quella delle deiscenze post-operatorie non raggiunge il 2%.

Fr Beppe Gaido




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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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