venerdì 12 dicembre 2014

La sedia di lillà

Questa sera alle ore 20 è mancato Dan Victor Mutuma, un bambino di dieci anni dalla storia tremenda e tristissima.

Era caduto da un albero e si era fratturato la colonna vertebrale. Era quindi stato ricoverato al Kenyatta National Hospital a Nairobi, da dove poi i genitori avevano chiesto la dimissione per motivi economici. In seguito era stato ricoverato in vari altri ospedali e da ultimo a "Meru Level 5" per molti mesi.
Da noi era arrivato il 5 settembre 2014 a motivo di estesissime piaghe da decubito in molte parti del corpo.
Ci siamo presi cura di lui medicando le sue ulcere, compiendo più volte toelette chirurgiche e tentativi di sutura e innesto cutaneo e muscolare... tutto però è stato inutile!
Victor non aveva sensibilità dal torace in giù ed anche il trofismo dei tessuti era poverissimo.
I decubiti si sono via via approfonditi, fino ad esporre le ossa ed a causare osteomielite: la cosa più terribile è stata una frattura patologica del femore con monconi esposti. Abbiamo asportato l'osso esposto in sala, senza bisogno di anestesia, perchè Victor non sentiva niente; abbiamo suturato nuovamente, ma le piaghe non sono mai migliorate.


Oggi Victor stava bene... se così si può dire nella sua tremenda condizione... non si è lamentato molto, neppure durante la medicazione... ma poi alle 20 si è rilassato ed è andato in Paradiso.
Siamo ammutoliti e tristi. Victor, con la sua loquacità e con il suo inglese forbito (inusuale per la sua età) ci manca moltissimo; ormai faceva parte della nostra famiglia. Proviamo dolore e tenerezza per la sua mamma che è sempre stata qui con lui, anche se sappiamo che è meglio per Victor aver terminato il suo calvario e siamo convinti che anche per la madre sia opportuno voltare pagina e provare a re-iniziare una vita diversa fuori dagli ospedali.
Sarà molto dura per lei, anche se ha un altro figlioletto più piccolo. Veder la sua carrozzina vuota stasera mi fa pensare a "la sedia di lillà", quella canzone tremenda che mi fa faceva accapponare la pelle quando avevo 18 anni: la storia di Victor non ha niente a che fare con
quella narrata dal cantautore italiano di cui non ricordo il nome.
Ciononostante, vedendo la carrozzina vuota e pensando a Victor volato in cielo, con il groppo alla gola, non posso fare a meno di pensare che finalmente ora egli sia libero da quella sedia e dalla condizione che lo incatenava ad essa.
Vedendo Victor morto nel suo letto, non posso non pensare a Gaia e Serena, le due volontarie sarde da poco partite che con Victor hanno realizzato un rapporto stupendo di amicizia, di affetto e di sostegno: Gaia e Serena hanno offerto un sostegno olistico ed encomiabile a Victor, e certamente le loro gentilezze ed il loro amore hanno avuto una grande importanza negli ultimi mesi della vita di questo povero piccolo, ora diventato angelo.
Non mi sento di pregare per Victor, ma spero che lui, che è in Paradiso, preghi anche un po' per me.

Fr Beppe








4 commenti:

Anonimo ha detto...

"ALBERTO FORTIS fratello. la sedia di lillà tratta di un uomo al quale hanno diagnposticato una terribile malattia degenerativa e preferisce impiccarsi piuttosto che affrontare la tortura. ALBERTO FORTIS ne è l'ispirato autore" Valentina

Anonimo ha detto...

"Buon viaggio piccolo Victor. Ora puoi tornare a essere spensierato come deve essere un bimbo di 10 anni. Continua a sorriderci da lassù e veglia sulla tua sorellina!" Francesca

Anonimo ha detto...

"Piccolo Dan Victor...ricordo perfettamente i suoi occhioni! Che tu possa vivere una vita piu serena lassù..." Veronica

Anonimo ha detto...

R.I.P.
Franco


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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