lunedì 30 marzo 2015

Lettera di Simona

Sono ormai passate due settimane dal mio rientro in patria.
Chiudo gli occhi e penso.
Quanti visi, quanti abbracci, quanti ricordi, quante emozioni, quanti profumi, quanti colori…
Per me questa è stata la quarta volta in Kenya.
Avendo a disposizione però sole due settimane, ho voluto, in compagnia di un’amica, girovagare un po’ per questo meraviglioso Paese a salutare gli amici con cui, in questi ultimi 10 anni, mi sono tenuta in contatto.
Mi sono separata da Serena a Meru, e sono arrivata a Chaaria su un matatu, dopo un viaggio breve ma intenso.
Oltrepassare il cancello del Cottolengo Mission Hospital da sola…mamma mia che meraviglia!!! Era da tanto che sognavo quel momento e finalmente ho potuto realizzarlo.
Mi sono fermata solo pochi giorni, ma sono stata travolta in un turbine emotivo non indifferente.
Per me è stato come tornare a casa. Beppe, Giancarlo, i buoni figli, sr Joan, alcuni infermieri, il personale…e poi i luoghi, i profumi,…, era come non essere mai andata via.
Ho potuto finalmente vivere questa esperienza da sola, ed è stato fantastico! (Anche perché in quei giorni ero l’unica volontaria in missione).
In ospedale mancavo da ben 8 anni…mamma mia quanti cambiamenti, e quanti enormi passi in avanti sono stati fatti. 



Dal punto di vista strutturale e logistico i due nuovi cameroni, la nuova sala operatoria bellissima e super funzionante, la maternità, la nuova lavanderia,…, e poi se vogliamo scendere nelle pratiche assistenziali, beh, sono cambiate davvero tante, tantissime cose. Ho visto infermieri prestare assistenza ai pazienti in modo altamente professionale, le nuove cartelle integrate, e poi, udite udite: i nuovi carrelli terapia!!! 
Non più quei meravigliosissimi barattoli con compresse dai mille colori, ma carrelli terapia con cassetti, all’interno dei quali ci sono i classici blister di compresse, per cui, anche noi infermieri italiani riusciamo ad orientarci!!!
Ogni volta che torno a Chaaria è forte per me vedere come noi infermieri europei abbiamo tanto da imparare dai colleghi africani: loro hanno davvero una marcia in più. 
Noi saremo anche più ferrati dal punto di vista assistenziale, ma siamo troppo abituati ad avere un medico quasi sempre presente, e spesso non usiamo più la testa come dovremmo per ragionare, loro invece sono preparati, agiscono in autonomia e chiamano il medico solo in caso di estrema necessità.
Non parliamo poi dei buoni figli: angeli neri scesi sulla terra per donare ed arricchire chi sa volgere loro uno sguardo. Anche questa volta mi hanno donato tanto in quei pochi attimi passati insieme.
Penso al nodo in gola nel dir loro arrivederci, penso alle lacrime versate quando salutandomi mi hanno detto che mi ricorderanno nelle loro preghiere affinchè, il mio/nostro (mio e di mio marito)  desiderio di diventare genitori, possa divenire un giorno realtà se questo è il disegno di Dio per noi.
Loro che con difficoltà portano il cibo alla bocca. Loro che con difficoltà confezionano garze per l’ospedale e collanine da vendere. Loro che affrontano le difficoltà quotidiane della vita sempre con il sorriso. Loro persone dalle quali ognuno di noi ha davvero molto da imparare. Ancora una volta mi hanno dato un insegnamento speciale: occorre essere meno egoisti nella vita e pensare agli altri con sorriso ed amorevolezza. Nei giorni trascorsi a Chaaria mi hanno coccolata e mi han fatta sentire la loro principessa.
Ogni volta che parto da Chaaria penso sempre che: è molto di più quello che ho ricevuto rispetto a quel poco che ho potuto donare nella mia immensa povertà d’animo.
Sì, se già prima amavo l’Africa e la sua gente, questa volta ho proprio avuto il colpo di grazia!
Credo di essere ammalata di questa strana malattia per cui non esiste rimedio, e ne è la prova che ogni tanto io senta l’estrema necessità di ritornare.
A TUTTI VOI GRAZIE PER AVERMI FATTA SENTIRE A CASA!!!
KWA HERI!

Simona Cavallo



PS: Simona è stata in Kenya per seguire dei progetti che con un gruppo di Cuneo sostiene nella diocesi di Kisumu, ed è stata a trovarci a Chaaria per pochi giorni, nell’ambito delle attività della sua associazione.

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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