Le donne sono la colonna
della nostra società in Kenya. Quando le guardo muoversi nei cortili delle loro
casette intente a cucinare, oppure curve nei campi concentrate nel seminare,
oppure al pascolo dei loro magri bovini, provo per loro un’ammirazione immensa:
sempre al lavoro, sempre dedite alla famiglia, ai bambini ed al marito.
Spesso le intravvedo
mentre escono dalla boscaglia con un enorme carico di legna sulle spalle; a volte
con loro c’è un uomo (il marito?) che non le aiuta affatto a portare il pesante
fardello, ma cammina leggero due passi avanti, tutt’al più avendo in mano una
panga che verosimilmente è servita a tagliare tutti quei rami che ora pesano
unicamente sulla schiena della donna. A volte con queste mamme vedi delle bambine
gioviali che scorrazzano qua e là, ignare del fatto che probabilmente, tra non
molti anni, saranno loro a portare sulla schiena le pesanti fascine.
Non è infrequente
scorgere anche donne in erba, fisicamente ancora bambine ma già educate a
quella condizione di lavoro duro che è in effetti il loro destino: sono piccole
lavoratrici che sin dall’infanzia imparano il “compito della donna”.
Le vedi
portare “sciabole” taglienti e piu pesanti di loro, o tirare a stento un
carretto carico d’erba.. e ancora, camminare veloci prima dell’imbrunire
accanto a qualche fratello mentre riportano a casa il bestiame portando sulla
schiena una tanica piena d’acqua raccolta al fiume.
Le ho osservate tante
volte: sono volti di piccole bimbe che richiamano quelli ancor piu espressivi e
significativi delle loro madri.. donne che ormai portano i segni di quest’Africa
costruita su tante gocce di sudore che hanno il sapore umano di madri, figlie,
lavoratrici...
Quando vedo le donne
curve nei campi a seminare, sarchiare o raccogliere i frutti del loro lavoro; quando
le vedo zappare e faticare, portando sulla schiena il loro bimbo che dorme
saporitamente, penso sempre al mistero della maternità, e mi immagino la terra,
femmina anch’essa, anch’essa feconda e produttrice di frutti, alleata nel
portare a compimento il comandamento di Dio di “andare, moltiplicarsi e
popolare il mondo”.
Le guardo poi in
ospedale: si aiutano a vicenda in modi semplici, umili ed umani; le vedo dar da
mangiare alla vicina di letto paralizzata, o prendersi cura del bambinetto di
quella che è in coma per la malaria. In reparto le vedo semplici e disinibite,
sia quando, piene di fiducia, ti mostrano liberamente le loro membra per farsi
visitare, o quando, prive di vergogna, si scoprono il seno per allattare anche
durante la messa della domenica.
In ospedale a volte le
vedi meticolosamente affaccendate a tessere con le mani i loro capelli in trecce sottili.. quelle
stesse mani con cui dividono i semi dalla cascara e con cui asciugano gocce di
sudore e di pianto...
Piango nel cuore quando
visito una donna bellissima ma sterile: è stata sposata per alcuni anni, ma il
marito la considera al pari della terra: l’ha sposata non per la sua bellezza o
per la sua bontà, ma per i figli che potrà generare e far crescere: una donna
sterile è come un campo inproduttivo ed arido che spesso verrà abbandonato perchè
incapace di dare frutti...
Le trovo belle le donne
africane, quando le vedo danzare in una festa oppure in chiesa: ogni volta che
c’è musica e possono ballare, esse sanno sprigionare un’imponente forza e
vitalità che mi conquista.
La gente africana poi pensa
sempre al continente che li ha generati come alla loro madre. E’ frequente
sentirli parlare di “Mama Afrika” in kishahili; nei mercati puoi trovare delle
magliette su cui cui sono stilizzate le forme del continente trasformato in un
volto femminile anziano col capo ricoperto dal tipico foulard.
Le donne che incontro
sono degne figlie di questa grande madre che è l’Africa stessa, un monumento di
umanità, di forza e di dedizione.
Fr Beppe
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