venerdì 5 giugno 2015

Ciò che conta è amare

Più passa il tempo e più mi convinco che il primo apostolato a cui sono chiamato e’ quello di voler bene: voler bene ai malati che sono chiamato a servire senza risparmiarmi; voler bene ai confratelli della mia comunita’ che spesso non la pensano come me e con i quali la vita potrebbe anche portare a inevitabili tensioni; voler bene a quella gente che in passato potrebbe avermi fatto del male, ad occhi aperti o inavvertitamente.
Altra importante testimonianza è quella del perdono vicendevole. Come Cristiani siamo invitati sempre a “voltare pagina: e’ inevitabile avere delle “differenze di vedute” o anche dei veri e propri scontri.
Ma l’importante e’ credere che tutti possono cambiare e ravvedersi: come posso migliorare io, devo dar credito anche al prossimo di aver le potenzialita’ per una autentica conversione.
Perdonare e dimenticare? Certo questo e’ quanto ci chiede il Signore Gesu’... ma onestamente ne siamo davvero capaci? E’ possibile non ricordare le offese ricevute?
Io non reputo di essere arrivato a questa vetta di ascetismo: le offese purtroppo me le ricordo fin troppo bene! Magari fossi capace di scordarmele e di cancellare tutto come si fa con un computer semplicemente premendo un tasto.


Mentre cerco di continuare il mio lavorio interiore, per adesso mi accontento di ricordare si’, ma di non farmi bloccare dalla memoria dei torti veri o presunti che penso di aver ricevuto: e’ dunque parte della mia ascesi personale il cercare di parlare e di collaborare con tutti, anche con chi e’ stato mio avversario in qualche modo, o mi ha fatto piangere... forse anche io ho fatto piangere lui! Ritengo sia molto importante anche l’atto esteriore della richiesta di perdono.
Dire:“scusami” non e’ mai una perdita di tempo anche se onestamente non e’ per nulla facile.
Altro apostolato molto importante mi pare possa essere il mio impegno per non essere geloso: l’invidia e’ stata individuata dalla saggezza millenaria della Chiesa come uno dei tre vizi capitali. Quanta profondita’ in questa scelta.
A 53 anni di eta’ e dopo quasi 35 anni di vita religiosa, ho tristemente toccato con mano come la gelosia sia un tarlo che mina alla radice non soltanto gli ambienti laici, ma anche quelli ecclesiali.
Alla base di tutto ci sono alcuni “specchietti delle allodole” in cui tutti cadiamo: volenti o nolenti, noi cerchiamo umana considerazione; siamo assetati di un riconoscimento sociale che tenga conto del nostro effettivo valore che normalmente riteniamo sottovalutato in comunita’; siamo spesso “rattristati” dal successo del nostro prossimo e desidereremmo ardentemente godere della stessa considerazione a lui tributata.
La gelosia e’ anche per noi una grande illusione: crediamo piu’ o meno inconsciamente che, dando una lezione al nostro vicino, noi troveremo una qualche gioia o soddisfazione... magari poi rivestiamo questi sentimenti cosi’ bassi da non poter essere confessati neppure a noi stessi, con alte motivazioni religiose: asseriamo di voler correggere fraternamente il nostro amico; diciamo a noi stessi che la nostra azione ha come scopo la soluzione di qualche problema sociale all’interno del gruppo; arriviamo forse persino a pensare che agiamo per salvare l’anima del nostro prossimo.
Ma poi basta una mezz’ora di silenzio davanti al tabernacolo per renderci conto di meritare ancora la lapidaria frase latina:“mors tua, vita mea”. Ed e’ proprio in tali momenti di verita’ di fronte a Dio che dobbiamo ammettere che la gelosia non ci rende piu’ felici. E’ solo una forza distruttrice contro cui dobbiamo lottare continuamente, perche’ ha in se’ la potenza diabolica di destrutturare gruppi e comunita’.
Molti miei amici poi amano filosofeggiare sulle incoerenze della Chiesa. A loro rispondo che il primo incoerente sono io, e che quindi non mi sento di “scagliare la prima pietra”. Pero’ timidamente cerco anche di cambiare il loro angolo visuale: davanti a Dio conta solo la nostra personale coerenza; non ci sara’ chiesto conto di come sono vissuti gli altri, ma di come ci siamo comportati noi.
E qui ritorno al primo punto di questa mia confessione pubblica: il volersi bene. Se leggiamo attentamente il Vangelo, Gesu’ ci dice che l’amore e’ il primo e piu’ importante comandamento. Sant’Agostino arriva ad affermare: “Ama, e fai quello che vuoi”.
E ancora: nell’episodio in cui leggiamo della peccatrice che gli ha profumato i piedi, Cristo afferma che “le e’ stato molto perdonato, perche’ ha molto amato”.
Queste citazioni mi portano a pensare che, se amiamo veramente Dio e gli altri, sara’ difficile commettere peccati veramente grandi. Ed inoltre, siccome poi perfetti non lo siamo davvero, e la Bibbia ci ricorda peraltro che anche il giusto “pecca sette volte al giorno”, allora abbiamo nell’amore la possibilita’ della conversione e del perdono divino. E’ infatti ancora il Nuovo Testamento a dirci che “la carita’ copre un gran numero di peccati”.
In conclusione di questo sproloquio che forse vi ha annoiati terribilmente, spero di aver potuto comunicare anche solo un punto: quello che conta e’ amare e cercare, nei limiti del possibile, di non far del male agli altri.

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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