Ela è arrivata da poco
dalla Polonia. E’ di Varsavia. Stasera si sentiva particolarmente giù.
“Oggi e’ una giornata
nera. Ho cercato di vedere un po’ tutti, ma i malati sono troppi, e penso di
aver fatto proprio niente. Sono molto inesperta.
Ti focalizzi su un problema e
ne dimentichi molti altri, probabilmente proprio quelli che poi alla fine
uccideranno il paziente. Guarda Wilson: a 15 anni di eta’ e’ morto tra le
nostre mani, e non siamo riusciti a fare nulla per salvarlo.
Sembrava una
leucemia e lo stavamo trasfondendo in attesa che i suoi parenti decidessero il
viaggio a Nairobi per la chemio. Poi pero’ hai fatto l’ecocardio, e hai visto
quel cuore enorme e quel versamento pericardico. Aveva la leucemia o uno scompenso
cardiaco?
E poi l’hai visto
stamattina prima che morisse? La pancia e’ diventata dura e sovradistesa: aveva
forse un addome acuto?”
“ Cara Ela, a dirti il
vero non lo so neppure io. La sua anemia estrema (1.8 di emoglobina) potrebbe
in se’ stessa essere la causa dello scompenso cardiaco... ma non ne sono certo!
I suoi globuli bianchi certamente avrebbero potuto suggerire una leucemia
mieloide, ma anche una peritonite: il fatto e’ che pochi minuti prima di morire
la sua pancia era bella! In Italia ed in Polonia abbiamo tanti test a
disposizione che qui non sono disponibili: se fossimo stati la’, probabilmente
avremmo tirato su il telefono e chiamato prima un ematologo e poi un
cardiologo, e quindi forse un chirurgo.
Avremmo avuto a disposizione un puntato
midollare in pochi minuti, ed un ecocardiogramma ben fatto (non come quelli che
mi ingegno a fare io). Qui siamo soli, cara Ela, ed abbiamo cosi’ tanti
pazienti che ci sentiamo soffocare. Oggi ho operato tutto il giorno, e Wilson
e’ morto prima che tu potessi informarmi.
In Polonia avresti avuto un primario
a cui chiedere e su cui scaricare le tue tensioni ed i tuoi dubbi: lui si
sarebbe preso la responsabilita’ davanti a Dio e davanti alla legge; qui hai
solo me... e non ne so molto piu’ di te!
Ricordo quello che mi ha
detto recentemente Roberto, un mio amico d’infanzia ora pediatra in un’
universita’ italiana: anche se in reparto abbiamo tutto, e pur essendoci una
decina di pediatri che fanno il giro visita tutti i giorni, recentemente ci e’
‘scappata’ una diagnosi di leucemia ed il bambino e’ ora gravissimo. Se
sbagliamo noi in quelle condizioni ottimali di lavoro, figurati a te in Chaaria
quante diagnosi possono sfuggire.
Cara Ela, il mio amico
aveva ragione: lo stress a cui siamo sottoposti 24 ore al giorno (perche’ anche
le chiamate notturne tolgono lucidita’ di ragionamento clinico), il rapporto
numerico di uno a duecento tra medico e paziente, l’impossibilita’ di avere una
figura professionale anziana a cui far riferimento, la limitatezza delle possibilita’
diagnostiche strumentali e di laboratorio... ci espongono certamente
all’errore.
Anche la stanchezza ha un peso rilevante in questo: ma che cosa ci
possiamo fare? I malati ci sono ed aumentano, e di medici stabili ce ne sono
sempre troppo pochi. Non dobbiamo pero’ scoraggiarci.
E’ vero’ che normalmente
pensiamo ai nostri fallimenti, dimenticando i successi: oggi quindi nella tua
mente c’e’ Wilson che non sei riuscita a salvare perche’ non hai neanche capito
quello che aveva (neppure io, per altro!).
Pero’ cerchiamo anche di
focalizzarci sulle persone che sono andate a casa guarite! E’ vero che in
Medicina e’ sempre cosi’ enorme il bisogno che ci pare di non aver fatto nulla,
ma e’ anche sacrosanto che la mortalita’ del nostro ospedale si aggira sul
2%... questo significa che il 98% delle persone ad un certo punto vanno a casa
in qualche modo migliorate.
Fare il medico in Africa
e’ comunque una bella palestra di umilta’ in cui prendiamo coscienza dei nostri
limiti ed in cui ci liberiamo da quell’aura di onnipotenza da cui spesso i
medici vengono corteggiati.
Coraggio cara Ela...
quello che fai per i malati ed anche per me e’ veramente importante. Pensa a
Chaaria senza di te: io avrei tutto il carico di lavoro che tu vedi con i tuoi
stessi occhi, ed in piu’ anche il ‘repartone’ dove tu stessa dici di non
farcela.
Che cosa pensi che riuscirei a dare a quei malati? Molti di loro
morirebbero senza aver mai visto la faccia del dottore. Ora, se non altro, sei
li’ per loro ogni giorno dal mattino alla sera! Ti racconto ancora un episodio
della vita di Madre Tersa di Calcutta, e poi andiamo a riposare: un giorno una
giornalista chiese a Madre Teresa come si sentisse di fronte a tutta la massa
di poveri che non riusciva comunque a raggiungere sulle strade della sua
citta’.
La risposta della santa
suora e’ stata illuminante: Dio non mi chiede di risolvere tutti i problemi ne’
di eradicare la poverta’ dalla faccia della terra. Lui mi chiede la federla’...
Vero che e’ una bella
risposta? Ti propongo anche questa piccola meditazione: Dio non ci chiede di
guarire tutti. La morte fa parte del ciclo della vita. A Lui basta la nostra
dedizione fedele a chi soffre”
Fr Beppe Gaido
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