La paziente era stata da
noi operata ad aprile scorso per dei fibromi uterini. Essendo una donna giovane
che ancora voleva figli, abbiamo eseguito la miomectomia, lasciando l’utero in
sede.
Due settimane fa, si è
ripresentata in ospedale con dolori lancinanti al bassoventre, ed una
obiettività addominale di resistenza lignea solo ai quadranti inferiori.
L’ecografia dimostrava
una fomazione complessa (in parte liquida ed in parte solida) dietro l’ultero e
nello scavo del Douglas. Il test di gravidanza era negativo, ma l’ipotesi di
gravidanza ectopica rimaneva alta nella nostra lista di diagnosi differenziali,
in quanto sono molto frequenti i falsi negativi.
Entrati in sala abbiamo
trovato unsa situazione veramente complessa: non si trattava di una gravidanza
extrauterina, e non c’erano neppure aderenze sull’utero causate dalla
precedente miomectomia.
Nello scavo del Douglas
c’era invece una ingente quantità di pus e di materiale necrotico. Il sigma, il
cieco, l’appendice ed il colon destro erano ricoperti di fibrina ed arano
inglobati unaa massa necrotica. L’utero invece sembrava normale.
Siccome l’appendice era
infiammatissima e inglobata nel materiale necrotico, abbiamo pensato che si
trattasse di peritonite purulenta secondaria ad appendicite. Abbiamo quindi
eseguito appendicectomia e lavaggio della cavità peritoneale. Non siamo
riusciti a togliere tutte le “debris” dal Douglas ed abbiamo sperato che esse
si sarebbero riassorbite anche grazie agli antibiotici.
Le condizioni generali
della paziente sono rimaste buone nel post-operatorio, ma la quantità di pus
che fuoriusciva dai drenaggi non accennava a diminuire. Inoltre si era formata
una fistola a livello della ferita che drenava pus in abbondanza. Abbiamo quindi
deciso per un “second look”. La situazione che abbiamo trovato all’apertura
dell’addome era simile a quando avevamo operato la prima volta: abbondante
materiale necrotico e corpuscolato nel Douglas, ancora tantissimo pus, molte
più aderenze che avevano ormai interessato anche le anse del tenue. Non
convinto della prima diagnosi di appendicite, ho raccolto molto di tale
materiale per esame istologico e batteriologico: nella mia testa si faceva
strada la diagnosi di tubercolosi. Anche in questa occasione non abbiamo
trovato perforazioni intestinali e l’utero rimaneva bello. A supportare la mia
diagnosi non abbiamo però trovato alcun linfonodo ingrandito a livello
dell’omento e del mesentere. A dir la verità temevo anche un tumore maligno.
Il post-operatorio è
stato buono per alcuni giorni, ma poi sfortunatamente si è riformata una
fistola purulenta a livello della ferita cutanea. Mi sono illuso per due giorni
che la fistola potesse in realtà fungere da drenaggio per il pus. Medicavamo
due volte al giorno.
Oggi però è arrivata la
mazzata per me e per la paziente: dalla fistola usciva materiale stercoraceo;
non si poteva fare altro che entrare in sala di nuovo.
La situazione che abbiamo
trovato era sfortunatamente quella solita, ma ulteriormente aggravata: debris
nel Douglas, tanto pus, ma stavolta moltissime aderenze che stavano per causare
una vera e propria occlusione intestinale. La novità sono stati enormi
linfonodi caseosi sia sul mesocolon trasverso che su varie parti del mesentere.
Li abbiamo nuovamente raccolti per biopsia e batteriologico.
Le aderenze colpivano
tutto l’intestino, dal Treitz fino al retto. Abbiamo liberato le aderenze con
pazienza, cercando dovunque quella perforazione intestinale che sembrava essere
scomparsa. Avevamo quasi sperato che di perforazioni non ce ne fossero.
Prima di richiudere
l’addome, ho però deciso di iniettare per retto 20 ml di blu di metilene, ed è
a questo punto che, profondamente nel Douglas, in mezzo al materiale purulento
e necrotico, abbiamo visto spuntare il colorante: spuntava dal retto, ad una
distanza veramente irrisoria dall’ano.
Nel frattempo il
laboratorio ci ha confermato la presenza di cellule giganti di Langhans e di
micobatteri nel materiale caseoso raccolto nei molti linfonodi peritoneali.
Ci è dispiaciuto molto
dover ricorrere ad una colostomia sul trasverso, vicino alla flessura splenica.
Ora iniziamo la terapia
antitubercolare e speriamo quindi che la situazione migliori.
Ci auguriamo anche che il
retto, ora isolato dal transito fecale si possa richiudere, in modo da poter
ricanalizzare l’intestino tra qualche mese.
Fr Beppe Gaido
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