venerdì 11 dicembre 2015

I ritmi di Chaaria

Sono ritmi estenuanti, e questo tutti lo dicono, perchè si comincia al mattino presto e si finisce la sera tardi, senza soluzione di continuità e talvolta senza una vera pausa pranzo: qualche boccone trangugiato in fretta e furia, prima di ritornare a quel rullo compressore che sono i pazienti ambulatoriali.
La cosa che a volte mi sta pesando di più in questo periodo, non è neppure il monte ore di lavoro, quanto piuttosto il fatto che i ritmi siano davvero troppo intensi: fare un intervento chirurgico è senza dubbio anche bello; ti riempie di soddisfazione e ti dà anche una buona scarica di adrenalina, ma, tra un’operazione e l’altra , ci vorrebbe un momento di stacco, anche per conservare la lucidità mentale necessaria per il prossimo paziente.
Invece, dalla sala si deve correre in ambulatorio e cercare di visitare quanti più pazienti ti sia possibile, prima di essere chiamato per il prossimo caso chirurgico.
L’ambulatorio in sè è stressante, perchè ti puoi trovare davanti sia pazienti molto gravi che clienti psicosomatici e rompiscatole, sia persone molto rispettose e piene di gratitudine, come altre spocchiose e piene di pretese.
Anche dall’ambulatorio ci vorrebbe uno stacco, prima di tornare in sala ad operare, ma spesso non c’è il tempo materiale per farlo.


Per non parlare di quando rientri in sala verso le ore 16, pensando di aver esaurito tutta la coda dei clienti esterni; lavori per quasi due ore per un intervento difficile, e poi alle 18 ti trovi nuovamente una fila di clienti ambulatoriali ritardatari che hanno anche il coraggio di sgridarti perchè a quell’ora non troveranno più mezzi pubblici per tornare a casa.
A volte sei così stanco che ti scappa una parola di troppo, diventi nervoso e tratti male qualcuno; poi ti spiace un sacco, ti penti e ti senti come se avessi rovinato in un attimo quel po’ di bene che hai cercato di fare dal mattino presto.
Altro aspetto che a volte mi pesa è quello del “tutto e subito”: ci sono persone (sia dello staff come anche tra i clienti), che non sanno proprio aspettare. Si piombano nel tuo studio e ti sciorinano i loro problemi in tempo reale, senza chiederti se eri libero o se eri disponibile. Tu vorresti dire loro che in quel momento pensavi di fare altro, che avevi un altro impegno o semplicemente un altro piano di lavoro: niente da fare; non ci sentono e vanno avanti imperterriti, finche tu li servi per “sfinimento”. 
A volte mi stancano di più queste decine di intrusi nel piano di lavoro che non il peso stesso della giornata.
Lo so che i nostri ritmi sono comunque scompensati, anche perchè poi, dopo preghiera e cena veloce, si ritorna ancora in ospedale per il giro serale; sono scompensati anche perchè non ci sono giorni liberi ed alla notte spesso si viene chiamati.
Ma cosa possiamo farci?
I bisogni sono tantissimi, ed il personale è davvero insufficiente.
Soldi per aumentare il personale ce ne sono pochi, ed anzi i tagli di spesa sono una delle nostre priorità in questa fase storica di Chaaria.
Ed allora stringiamo i denti ed andiamo avanti, chiedendo ogni giorno al Signore che ci dia forza e dedizione ai malati; che ci guidi e ci protegga in modo da dare sempre il meglio ai nostri pazienti e non fare errori clinici legati alla stanchezza ; che ci perdoni quando, sopraffatti dal peso del servizio, a volte siamo nervosi e trattiamo qualcuno con nervosismo.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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