mercoledì 17 agosto 2016

Diagnosi assolutamente difficile, ma esito positivo

La signora Jane viene da molto lontano. Abita infatti oltre Nairobi, ma dalle sue parte c’è uno sciopero della sanità che dura da oltre tre settimane.
Per motivi strani viene a conoscenza di Chaaria, e pensa che noi possiamo risolvere il suo problema che dura ormai da molti mesi e non migliora, nonostante le molte terapie che le sono state prescritte.
Ha un dolore continuo in fossa iliaca destra, più o meno nella zona appendicolare... ma il fatto è che l’appendicectomia è stata fatta quando ancora era una ragazzina.
La visito ed effettivamente la zona è molto dolente alla palpazione, anche se non ci sono chiari segni di risentimento peritoneale.
L’emocromo esclude la presenza di peritonite... l’esame urina quella di infezione delle vie urinarie.
Non ci sono ernie palpabili anche se la donna ha una cicatrice di Pfannestield sul bassoventre: con la raccolta dell’anamnesi vengo a sapere che non si tratta di un cesareo ma della rimozione di una cisti ovarica destra un anno prima.
La donna ha fatto anche una TAC a Nairobi, la quale risulta essenzialmente negativa.
Faccio anche una ecografia addominale per vedere se per caso ci fosse un ascesso pelvico.
La paziente è ormai in menopausa ma non mi sento di escludere la cosa a priori.
L’eco pelvica è comunque negativa e così pure la visita ginecologica.


Considerata la storia di due interventi chirurgici precedenti, mi oriento verso una diagnosi di sindrome aderenziale con dolore pelvico cronico.
Provo a trattare la paziente con terapia medica, ma non ottengo alcun miglioramento.
La donna vuole essere operata e me lo chiede ripetutamente, ma io resisto perchè non capisco bene perchè lo dovrei fare: l’addome è sostanzialmente trattabile, l’alvo è aperto ai gas ed alle feci, non ci sono segni di occlusione o di peritonite.
Poi però, dopo più di una settimana di medicine che non sortiscono alcun effetto positivo, oggi mi decido ad aprire quella pancia.
Ho usato la pregressa cicatrice ginecologica per il mio accesso chirurgico. ..e proprio aprendo la parete ho fatto la diagnosi in una maniera quasi drammatica. 
Con mia sorpresa infatti, dalla parte destra della cicatrice di Pfannestield, ho incontrato sotto il bisturi un’ernia: una lunga ansa ileale che fortunatamente ho inciso solo sulla sierosa, evitando per un pelo un disastro, la l’avessi invece aperta di netto. 
L’ansa era aderentissima alla fascia e fuoriusciva da un buco nel peritoneo parietale, lateralmente al muscolo retto di destra. 
Con una certa fatica ho quindi fatto l’adesiolisi (non solo dalla fascia, ma anche dal colletto della porta erniaria) ed ho riposizionato l’ansa in addome, dove per altro c’erano molte altre aderenze da incidere. Ho quindi eseguito la riperitoneizzazione di quelle parti di ansa che quasi avevo aperto (meno male che non è successo!!!), ed ho richiuso la parete addominale per strati.
Forse non si tratta di un caso raro; magari è solo un laparocele post-operatorio, ma il fatto che l’ernia non si notasse per nulla all’ispezione addominale, ha reso la diagnosi molto difficoltosa.
Inoltre per me è la prima volta che vedo un’ernia fuoriuscire a lato del retto dell’addome.
Comunque è stato giusto operare, ed ancora una volta devo ammettere che la paziente aveva ragione a chiedere l’intervento...tanto per ricordarmi nuovamente che il malato ha sempre ragione, quando chiede qualcosa.

PS: nella foto vedete cinque nuove carrozzine che ci sono state regalate per i Buoni Figli da una organizzazione non governativa di Maua. La pratica per la donazione delle carrozzine era stata iniziata da Sr Joan ed è stata ora conclusa da Sr Joan insieme a Fr Robert.
Ringraziamo il Signore per questo importante dono a favore dei nostri ragazzi del centro.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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