lunedì 5 settembre 2016

E se fosse Gesù?

Erastus è stato trasportato nel nostro ospedale dalla polizia.
Ha una piccola ferita lacero-contusa sulla gamba destra.
Il problema è che ci sono frammenti ossei che spuntano dal taglio: si tratta quindi di una frattura esposta.
Il poliziotto è veloce a dire che si tratta di un povero che non ha nessuno e che in genere vive di elemosina al di fuori delle chiese.
Per le mie orecchie, ormai avvezze a questi discorsi, il messaggio subliminale è chiarissimo: “non aspettarti alcun contributo economico da nessuno”.
“Che cosa è successo?” chiedo io, glissando l’argomento che mi era stato appena proposto.
“Non conosciamo bene la dinamica, ma pare che gli sia caduto un pietrone sulla gamba”.
La mia riflessione è molto lineare: se lo mando altrove, nessuno penserà di operarlo perchè non ha soldi; se non facciamo l’intervento subito, l’osteomielite distruggerà certamente l’osso esposto ed il risultato finale potrebbe essere una amputazione o anche una setticemia.


“Ricoveriamolo subito; programiamo per una lastra e per l’intervento di fissazione interna”.
Il poliziotto vuole essere sicuro di quello che ha sentito: “sappi che nessuno verrà a pagare, e che noi come istituzione non possiamo venirti incontro finanziariamente”.
Mi consulto velocemente con fr Giancarlo, pur conoscendo già la sua posizione anche prima di parlargli: la conclusione a cui arriviamo è che questa persona è davvero un povero del Cottolengo, uno di quelli a cui primariamente siamo stati inviati come missionari.
Il Cottolengo ci diceva che, per aiutare chi è veramente povero ed abbandonato, dobbiamo addirittura essere disponibili a vendere i calici dell’altare e gli arredi della chiesa.
E’ evidente quindi che noi siamo per il ricovero a Chaaria.
Se lo mandassimo via, commeteremmo un peccato gravissimo, secondo la nostra spiritualità.
Insieme a fr Giancarlo dico quindi agli accompagnatori che accettiamo di fare tutto quello di cui c’è bisogno senza chiedere soldi a nessuno, perchè sappiamo che nel povero noi incontriamo Cristo.
“E se questo poveraccio fosse Gesù in persona, lo manderesti via senza aiutarlo?” chiedo all’ufficiale che evidentemente apprezza la nostra decisione, rispondendomi con uno sguardo complice e con un largo sorriso.
Mentre scrivo queste due righe, Erastus è già operato: gli abbiamo un fissatore esterno nella tibia, ed abbiamo fondata speranza che ritornerà a camminare come prima... speriamo solo di controllare l’osteomielite .
Tra una emergenza e l’altra, oggi, non ho pregato molto in cappella; ma sono nella pace, perchè Gesù l’ho incontrato ugualmente, e non gli ho chiuso il cuore.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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