giovedì 15 settembre 2016

Una bella soddisfazione

Non ci sono parole quando un giovane ti viene portato dal Tharaka con una frattura bruttissima di caviglia che lui stesso si è procurato giocando a pallone scalzo.
Lo hai visto arrivare in barella, in preda al dolore ed incapace di reggersi in piedi.
Poi la lastra di emergenza ha confermato che la frattura è complessa e l'intervento difficile.
Nonostante tutto non ti lasci scoraggiare e pensi che l'importante è aiutare queso giovane di 18 anni, che ha bisogno ancora di tornare a camminare, a correre ed a giocare a calcio.
Insieme al Dr Nyaga ed alla dottoressa Makandi in sala ti cimenti con la prima fissazione interna usando i chiodi endomidollari di "Sign".
Il risultato dei tuoi sforzi è più che soddisfacente, come documenta la radiografia che vi mostro.
Dagli USA i nostri donatori (che ricevono immediatamente rapporto dell'intervento e del controllo radiografico), si complimentano con noi per il risultato terapeutico e ci danno consigli per migliorare ulteriormente la tecnica.


Oggi in quinta giornata il paziente richiede di andare a casa ed è in grado di flettere il ginocchio senza problemi.
Lo fotografiamo rannicchiato come richiesto dai nostri donatori statunitensi.
Siamo onestamente molto orgogliosi di noi stessi ed anche estremamente grati ai donatori di "Sign Fracture International", che non solo ci mandano gli impianti da inserire, ma ci assicurano pure un ottimo follow up e ci aiutano con i loro consigli.
Al momento il numero di pazienti che stiamo aiutando con questa tecnica è in continuo aumento; speriamo di migliorare ancora e di diventare proprio bravi, al fine di aiutare molta gente che altrimenti non potrebbe farsi operare.

Fr Beppe Gaido






Nessun commento:


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


Guarda il video....