domenica 9 ottobre 2016

La panga ed i suoi disastri

In questi ultimi giorni per varie volte ci siamo trovati di fronte alle tremende conseguenze dalla panga o machete, quando usata come strumento di offesa e non per i lavori agricoli.
Ieri abbiamo lavorato a lungo per suturare una vecchietta di 62 anni, tagliuzzata in varie parti del corpo: tagli ripetuti e profondi, che hanno interessato muscoli e tendini e che hanno causato anche la frattura di una delle ossa del carpo.
Mi sono chiesto come si fa ad essere così crudele con una vecchietta, anche se magari lei avesse fatto qualcosa al criminale che l'ha punita in quel modo.
Questa sera invece un altro malcapitato è stato assalito a colpi di machete ad entrambi gli arti. Lo abbiamo solo steccato e medicato, posticipando l'intervento a domattina. La mano destra è quasi completamente amputata e ci vorrà tutto lo staff della sala per tentare di "riattaccargliela". Ci vorranno lastre di controllo, fissazioni interne con fili metallici e chiodi e paziente ricostruzioni delle strutture tendinee.


Quando passo ore ed ore in sala a riparare i danni della panga, sempre mi viene in mente il Rwanda... e mi chiedo che cosa deve essere stato lavorare in ospedale nei cento giorni di pazzia collettiva del famigerato genocidio.
Offendere, assalire, ferire e fratturare è davvero molto facile e richiede solo un momento di furia e di insanità mentale. Riparare i danni della panga in sala richiede molte ore di paziente lavoro, e spessissimo comunque non si riesce a riportare il paziente alla "restitutio ad integrum"
E' il mistero della malvagità umana di cui un medico fa frequentemente esperienza diretta.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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