martedì 20 dicembre 2016

Abbiamo raschiato il fondo

Ieri sera ultimo cesareo alle 21.
Uscito di sala mi avvio in maternità per vedere come sta il neonato che pareva un po' flaccido alla nascita.
Nella culla termica non trovo un bimbo, ma tre, e l'infermiera ne sta facendo nascere un altro. 
"Stringili ancora, perchè ne arriva un altro adesso...non preoccuparti, ho già messo il nome sui braccialetti ed i bimbi sono identificabili. Non li scambieremo!"
I lettini da parto sono tutti occupati da donne in secondo stadio di travaglio, ed una donna sta partorendo sulla barella dell'ambulatorio, al momento stazionata in sala parto per concederci di aiutare più persone in contemporanea.
Quando abbiamo costruito la nuova maternità, tre lettini in sala parto ci parevano anche troppi...ed invece non bastano!
Inutile chiedere all'infermiera notizie particolareggiate delle mamme ricoverate: sono troppe ed è impossibile seguirle adeguatamente, soprattutto di notte quando il personale è ridotto ancora di più.
Ho chiesto a Susan di indicarmi le tre pazienti a cui avrei dovuto inserire il cytotec per induzione di travaglio...lei non si ricordava nè il loro nome nè dove fossero.
Non la biasimo perchè è una situazione insostenibile...inoltre lei è costantemente impegnata con un parto dietro l'altro!


Giriamo per camere e corridoi dove sono sparsi materassini sul pavimento per poter far riposare le nostre pazienti, e finalmente le identifichiamo: c'è una congestione umana intollerabile. 
Due o tre mamme per letto; per quelle donne, pure alzarsi e seguirmi in sala visita è uno slalom impegnativo tra pazienti che dormono per terra.
Che fatica in questa situazione anche una cosa così routinaria come l'induzione del parto!
Susan timidamente e senza vena polemica mi dice sconsolata che le donne continuano ad arrivare a frotte e non ci sono letti.
Io mi stringo nelle spalle e non so cosa dire: abbiamo finito anche i materassini volanti ed ora stendiamo solo delle coperte sul pavimento a mo' di giaciglio. Non abbiamo più camicie da notte ed ora diamo alle donne delle vecchie divise di scuola infermieri che avevamo ricevuto dall'Italia
E' finito lo spazio anche nei corridoi, ed ora le donne dormono sulla veranda all'esterno della maternità.
Sto per andare a letto quando vedo arrivare altre due partorienti; parlano tra di loro e quasi non mi notano: stanno dicendo l'un l'altra che, dopo aver aspettato tre ore per essere ricoverate in una struttura governativa, si sono sentite dire che la maternità era chiusa...non dovrebbe essere così, in quanto in sciopero ora ci sono solo i medici!
Gli infermieri dovrebbero essere al lavoro e dovrebbero accogliere i casi di maternità non complicata, ma, a quanto pare, non è proprio così, e questo spiega la congestione insostenibile che continua a stremarci ogni giorno a Chaaria. Da una parte capisco anche quegli infermieri, perchè, se poi la donna complica, non hanno dottori in ospedale per il cesareo.
Fatto sta che a Chaaria non abbiamo più spazio e stiamo lavorando con l'acceleratore a tavoletta ormai da settimane.
Siamo ovviamente molto stanchi, ma anche contenti di essere una porta spalancata per coloro che non saprebbero dove richiedere l'aiuto di cui tanto necessitano.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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