domenica 4 dicembre 2016

Emergenza domenicale in sala parto

“Sono Carol. Ho una mamma in second stadio di travaglio dalle sei di stamattina. Sono due ore che è così, ma non ha più forza di spingere.
Ha una cicatrice da pregresso cesareo e non posso quindi mettere l’ossitocina”
“Sto scendendo. Due minuti e sono in maternità...ma tu pensi che sia un cesareo o no?”
“E’ esausta, ma la testa è bassissima. Magari possiamo farla partorire”
“Ok. Prepara tutto e ci proviamo”
Manca la luce da ieri mattina e la prima cosa che devo fare è accendere il generatore, perchè la luce dei pannelli solari si è esaurita.
Tentiamo con la ventosa ostetrica, in quanto la testa del piccolo è davvero al piano del perineo.
Non amo molto la ventosa...forse non sono capace ad usarla correttamente.
Anche questa volta infatti si stacca per ben due volte dal cuoio cappelluto del nascituro.
“Prendi il forcipe. Mi sento molto più tranquillo con questo strumento”.
Lo inserisco infatti senza problemi; tiro dolcemente e faccio praticare una buona episiotomia.
Con il forcipe il bambino nasce in meno di un minuto.


Piange subito e lo mettiamo sull’addoma della mamma che ora singhiozza non di dolore ma di felicità.
Tagliamo il cordone ombelicale e ci avviamo verso la culla termica. Il bimbo è forte e tonico.
Lo guardo con un minimo di preoccupazione, ma sulla sua fronte non ci sogno segni delle branche del forcipe da me inserito.
Anche la mamma sta bene.
Non si è lacerata e la sutura dell’episiotomia è rapida.
Finiamo tutto esattamente per le 9: la mamma può ora rilassarsi con il suo bambino e noi riusciamo ad andare a messa in perfetto orario.

Fr Beppe


1 commento:

Anonimo ha detto...

Buongiorno Fr Beppe
mi piacerebbe chiederti alcune informazioni più mirate sui viaggi in Africa, ma nn è questo lo spazio adatto (e nn so se hai tempo x leggere anche le email!)
Resto in attesa di una risposta,anche negativa,ti ringrazio x la disponibilità e ti auguro buon lavoro
Lidia da Desenzano


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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