mercoledì 4 gennaio 2017

Notti estenuanti

In questi giorni non c’è più soluzione di continuo tra il giorno e la notte, non c’è più giorno feriale e giorno festivo, non ci sono più orari.
Siamo così confusi che ci dimentichiamo le cose più normali. Per la prima volta in molti anni, oggi ci siamo dimenticati che è il primo mercoledì del mese, e quindi non abbiamo organizzato la messa con i nostri dipendenti in ospedale.
L’ultima volta che sono riuscito a fare lezione al giovedì mattina risale all’inizio di ottobre, prima dello sciopero delle infermiere di Meru. Da tempo non trovo più la concentrazione per le classi del giovedì che andavano avanti dal 1998.
Ora si lavora e basta; si fanno liste operatorie immense, che poi non si riesce mai a finire perchè in mezzo arriva una raffica di cesarei.
Si visitano pazienti dal mattino alle sera, ed alle 18.30 ci si rende conto che il corridoio dell’ambulatorio è ancora pienissimo.
Ci si sbatte dando il massimo e poi l’ultimo paziente che riesci a visitare con la mente ormai confusa quando ormai è già notte fonda, invece di dirti grazie che sei ancora lì ad ascoltarlo, ti lancia una serie di lamentazioni perchè ha aspettato sin dal mattino ed ora non sa dove andare a dormire.
Di notte vai a letto, ma non sai per quante ore, perchè le emergenze sono sempre in agguato. 


Spesso sono emergenze vere...a volte sono chiamate forse evitabili e talvolta chiaramente inutili. Ieri notte per esempio...
Erano tre notti che avevamo un cesareo verso le due di mattina (l’ora peggiore perchè ti spezza il sonno e poi non riesci più ad addormentarti), e speravamo proprio di riposare un po’.
Ma alle due arriva una chiamata dalla maternità di Kaongo.
“Fetal distress...abbiamo bisogno dell’ambulanza in fretta...la mamma è dilatata a otto centimetri”.
Non sapevamo se ridere o se piangere.
Siamo però certi che, per la legge di Murphy, le cose negative capitano sempre quando già non ne puoi più. Lo sperimentiamo continuamente!
Giancarlo parte con l’ambulanza verso Kaongo alle 2,30 della notte: ovviamente non è una passeggiata piacevole a quell’ora, su strada sterrata e dopo 3 notti insonni.
Arrivati a Kaongo, ecco la grande sorpresa: Giancarlo trova il bambino
già nel fasciatoio...la mamma aveva partorito.
Inevitabile sentirsi male!
“Perchè questa chiamata che ci ha obbligati a 15 chilometri sullo sterrato nel cuore della notte, se poi la donna ha partorito? Perchè almeno non informarci, in modo da tornate in dietro un po’ prima?
L’infermiera si giustifica dicendo che il bimbo è comunque sottopeso e quindi ha bisogno della nostra incubatrice. Bisogna trasferire il piccolo e la sua mamma a Chaaria: loro l’incubatrice non ce l’hanno!
Purtroppo per Giancarlo, la placenta era ancora ritenuta, e quindi lui ed il nostro infermiere hanno dovuto aspettare il secondamento per poi trasportare a Chaaria madre e neonato.
Il tutto si è concluso dopo le 4,30 del mattino.
Io ho visitato il bimbo alle otto della mattina seguente.
Mi sembrava in ottime condizioni. Non era affatto sotto peso in quanto pesava 2500 grammi, e mi pareva assolutamente a termine.
Succhiava benissimo al seno della mamma, che per altro già chiedeva la dimissione.
Mi dispiace molto per Giancarlo: a me è andata bene, in quanto, non essendo un cesareo, non sono stato coinvolto, ma lui ha speso la notte fuori per una emergenza assolutamente fasulla.
Ora nuovamente, sia io che lui, ci auguriamo che non ci siano chiamate almeno questa notte.

Fr. Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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