giovedì 2 febbraio 2017

Una crisi di coscienza

Mi reco a trovare un vecchio prete, forse il piu’ anziano che io conosca. Ho alcune domande da porgli, perche’ ho un nodo alla gola.
Mi hanno detto che corro il rischio di essere solo un BIANCO che lavora tanto, ma che non da’ alcuna testimonianza religiosa. 
Hanno insinuato in me il dubbio che il mio lavoro non venga percepito come missionario, e che alla fin della fiera io sia solo visto come un professionista a prezzi stracciati.
Il vecchio prete si accarezza la barba bianca e mi guarda a lungo senza rispondere. I suoi occhi sono sereni e la sua bocca accenna ad un piccolo sorriso.
Poi, ad un certo punto mi dice solo alcune parole, che pero’ mi calano nel cuore come un balsamo: “Non farti troppi problemi e non entrare in inutili paranoie: la tua testimonianza e’ percepita da tutti come spirituale e religiosa; anzi, forse il tuo e’ il modo piu’ diretto di testimoniare il Vangelo. 
Non predichi, non dai precetti, non comandi, ma spendi la tua vita dal mattino alla sera (e spesso per gran parte della notte) cercando di essere sempre disponibile a chi ha bisogno di guarigione e di sostegno anche psicologico.


Una vita come la si vive a Chaaria non e’ possibile senza una forte motivazione spirituale, e questo la gente lo comprende benissimo.
Tutti sanno quale sia la differenza tra te ed un medico che lavora solo per soldi (pensa allo sciopero che dura da due mesi ed è motivato solo dal bisogno di più soldi...mentre la povera gente muore). 
Ognuno si rende conto che, se tu non fossi un religioso, non potresti essere di guardia tutti i giorni e tutte le notti ormai da quasi 20 anni... avresti altre cose da fare, altri interessi! La carita’ ed il servizio
incondizionato ti definiscono per quello che sei. Non c’e’ bisogno che tu porti lunghe vesti o pesanti crocifissi al collo per far conoscere la tua identita, perche’ la tua divisa, il tuo abito e’ la carita’ che vivi tutti i giorni, con fatica ma con impegno, con tanti sbagli ma anche con la voglia di ricominciare e fare meglio.
Lo so che la gente ti chiama DAGITARI (=dottore), ma so anche che sono perfettamemente coscienti del fatto che sei anche un Fratello: se non lo fossero, non verrebbero a cercarti il sabato pomeriggio o la domenica, perche’ si renderebbero conto che anche il piu’ bravo dei
dottori, durante il week end pensa alla sua famiglia.
Per cui sii sempre persuaso che la tua preghiera non e’ solo in cappella, ma e’ anche in ospedale ogni volte che consumi le tue giornate (e le tue notti!!!) cercando di aiutare e di essere buono con tutti. C’e’ chi non lo capisce subito, ma alla fine, una vita completamente spesa parla anche ai piu’ duri di cuore”.
Mi sento un po’ rincuorato e ritorno verso l’ospedale. Medito su quanto il caro vecchio prete mi ha detto. 
Mentre sono ancora fuori del cancello dell’ospedale, mi sento chiamare forte: “ Padre! Padre! Per favore, stiamo ancora aspettando per l’ecografia e dobbiamo ritornare a Marsabit. Per piacere, considera il fatto che arriviamo da molto lontano e facci passare prima degli altri”. 
Mi giro e vedo un gruppo di persone dalle caratteristiche somatiche etiopi. Gli uomini hanno tutti lo zucchetto islamico, sgranano il rosario musulmano tra le dita e vestono lunghi camicioni bianchi come la neve. 
Le donne invece sono completamente coperte di nero e mi scrutano con occhi penetranti attraverso la fessura del chador.
“Faro’ del mio meglio per fare in fretta”.
Poi mi avvio alla room 17 e penso tra me e me che non stavo indossando alcun segno esterno di carattere religioso; anzi, nella fretta ero corso in parrocchia con una divisa verde da sala operatoria... eppure questi pazienti di religione islamica non hanno avuto dubbi nell’identificarmi come un consacrato, anche se per loro non e’ facile capire la differenza tra un Padre ed un Fratello.
Penso proprio che il vecchio sacerdote, nella sua saggezza, abbia ragione: questa e’ la mia missione: servire i malati senza riserve...
questa e nient’altro. Il resto i pazienti lo capiranno da soli.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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