lunedì 1 maggio 2017

International labour day

Quando e’ festa, per noi e’ sempre peggio degli altri giorni.
Bisogna dare i dovuti riposi ai nostri collaboratori, e alla fin fine il lavoro e’ molto piu’ pesante che in un giorno feriale qualsiasi.
E’ successo anche oggi: la sala d’attesa era piena dalle ore 9.
La dottoressa Mbungu ed uno dei clinical officers sono a riposo, cosi’ come molti altri infermieri e membri dello staff. Ci rendiamo conto che oggi bisognerà correre.
Anche oggi la lista operatoria è lunghissima e con noi abbiamo la dottoressa Makandi per gli interventi ortopedici.
Lascio molti interventi a lei ed ai volontari, mentre io mi occupo della coda che oggi prevedo quasi infinita.
Pazienza: ci vuole solo calma e sangue freddo. Uno dopo l’altro finiremo anche tutti questi malati che hanno deciso di venire in giorno festivo, con la “chimera” che durante le “public holidays” ci sia meno gente.
Fortunatamente oggi non abbiamo avuto cesarei ad interrompere il flusso degli interventi, che sono finiti per le 18.30.


Anche oggi non è mancato lo psichiatrico che mi ha preso per un braccio ed è riuscito a lasciarmi i segni delle unghie prima che il watchman entrasse di corsa a darmi una mano.
Adesso comunque ho finito l’ultimo paziente.
Osservo l’ambulatorio, ora così silenzioso e vuoto; poi giro lo sguardo all’orologio e mi rendo conto che riesco ad andare in cappella per la preghiera con la comunità.
Trascino i piedi ed ho la lingua impastata a motivo dello sforzo continuo di parlare in Kimeru o Kiswahili durante l’ambulatorio, ma offro tutto al Signore.
Oggi poi è San Giuseppe, ed è la festa dei lavoratori.
Penso quindi che noi a Chaaria abbiamo vissuto la giornata odierna nel modo migliore, in unità con tanta gente sfruttata e stremata da condizioni di lavoro che in molte parti del mondo non sono certo così rosee come in Europa.
Pregherò per tutti coloro che hanno la schiena spezzata e che per tanti sforzi magari ricevono uno stipendio da fame.
Sono felice davanti a Dio di essere uno di loro.

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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