sabato 9 settembre 2017

Linciato a morte

Lo abbiamo accolto in ospedale ieri sera alle 23.
Era ustionato dalla testa ai piedi.
Era stato buttato nel fuoco da una folla inferocita.
Qui la chiamano "mob justice", ma a me sembra solo una cosa orrenda ed immorale.
Non so che cosa abbia fatto questo poveraccio...normalmente la pena di essere cosparso di benzina e bruciato e' riservata ai ladri.
Non so neppure come la moglie sia riuscita ad impedire che le fiamme lo uccidessero completamente.
Il paziente e' stato accompagnato dall'ambulanza di un ospedale governativo chiuso per sciopero...meno male che almeno gli autisti fanno qualcosa per chi ha bisogno.
Era cosciente ed aveva un dolore tremendo.
Continuava a chiedere da bere.
Aveva pelle abbrustolita che pensolava da tutte le parti.
Lo abbiamo sedato, gli abbiamo dato della morfina per il male.
Con fatica estrema gli abbiamo reperito una vena per la reidratazione.
Lo abbiamo poi semplicemente avvolto in teli sterili, con il programma di portarlo in sala oggi per una estesa toeletta chirurgica dell'ustione.


Lui pero' e' andato in paradiso sotto gli occhi della moglie affranta, nel cuore della notte.
Mi ha fatto tanta pena questa donna, dall'apparenza umile e per bene.
Ha pianto in modo sommesso, senza sceneggiate, forse sapendo che in questa cultura nessuno prova compassione per i giustiziati dalla "mob justice".
Lui e' stato condannato a morte dalla folla, senza un processo e senza un avvocato difensore.
Vedo queste cose da 20 anni, ma ancora non riesco a capacitarmi che possano esistere.
E' barbarico, brutale e totalmente ingiusto.
Magari il defunto aveva rubato dei polli o poco piu' ed ora e' morto...e che morte ha fatto!
Per la poca esperienza raccolta in questi anni, essere bruciato vivo e' una morte davvero atroce, tra sofferenze indicibili.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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