giovedì 19 aprile 2018

Partorire nella stagione delle piogge

La notte e’ stata costellata di rovesci molto violenti, che sono poi continuati fin verso mezzogiorno. La strada ormai si e’ trasformata in un torrente di melma in cui le auto fan fatica a muoversi.
Sono le ore 13 quando mi chiama Benjamin, un nostro ex infermiere che mi dice di avere una donna in travaglio con segni evidenti di distress fetale. 
Si trovano a Kaare in un minuscolo dispensario, dove non hanno neppure una flebo e dove non possono monitorare il battito cardiaco fetale. La mamma non riesce a camminare e Benjamin insiste per l’ambulanza.
Parte Joseph insieme ad una nostra infermiera.
La strada e’ tremenda, ma con le quattro ruote motrici riescono a progredire nel pantano. Rischiaeo piu’ volte di finire in un fosso, ma alla fine trovano la mamma, assistita da Benjamin e dal marito, sotto un albero di mango.
“Ha rotto le acque ed il colore del meconio e’ terribile”.
“Ok, non perdiamo tempo e torniamo in ospedale”. Dall’ambulanza, mentre Joseph cerca di non rimanere “piantato” nelle terribili pozze d’acqua, l'infermiera chiama la sala parto e dice di preparare per il cesareo.


Entriamo nel reparto operatorio pochi minuti dopo che l'ambulanza ha raggiunto Chaaria; l’intervento procede senza particolari difficolta’, ma la piccola creatura non piange.
Sul fasciatoio viene prontamente rianimata: viene intubata, ventilata, massaggiata. Riceve tutti i farmaci a nostra disposizione... ma e’ tutto invano. 
Quando usciamo dalla sala tutti sudati, vediamo le ostetriche indaffarate a ventilare e a prescrivere nuove ”alchimie”... ma il colore del bimbo non lascia intravvedere nulla di buono.
Un’ora e mezza piu’ tardi mi ritrovo a fare la parte che non piace a nessuno. 
Sono seduto di fronte alla madre, ancora dolorante per la recente ferita chirurgica, e le devo dare la tristissima notizia che la devasta, e la costringe ad un pianto disperato e angosciante.
Che dramma aver portato una creatura fino al compimento dei giorni del parto; subire tutto il dolore dell’operazione, per poi essere messa in una stanza insieme ad altre madri, che pur sentendo lo stesso male, almeno possono allattare il loro figlioletto.
Anche il marito e’ presente, e devo dare la notizia pure a lui: “Era una femminuccia, ma non ce l’ha fatta!”
Non fa storie, e non mi accusa di nulla; anzi ci ringrazia per esserci avventurati con l’ambulanza.
Il suo problema piu’ grosso e’ quello di affrontare i vicini, che subito inizieranno a dire che si e’ trattato di malocchio o di una fattura da parte di un nemico.
Mi fa sapere come abbiano tentato di raggiungerci fin dalla sera precedente, ma le condizioni delle strade, rese impraticabili dalla pioggia, avevano impedito alla mamma di camminare: “magari, se fossimo venuti ieri sera, mia figlia ora sarebbe viva”.
“Forse”, gli ho risposto.
E poi, con un gesto del tutto raro dalle nostre parti, ha voluto portarsi via la figlioletta, ed ha deciso di seppellirla davanti a casa sua.
Mentre confeziono la bara improvvisata con una scatola delle scarpe, penso tra me: “se ci fosse stato l’asfalto, questi genitori ora non starebbero piangendo”.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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