lunedì 9 aprile 2018

Perdere l'ultimo treno

Spesso il mio direttore spirituale mi diceva: “non lasciar passare le occasioni per fare il bene, perche’ non sai se poi ne avrai nuovamente l’occasione oppure no”. 
E poi mi ripeteva sempre: “non si puo’ mai sapere se quello che passa e’ l’ultimo treno... meglio salirci sopra!”
Tristemente la vita mi ha insegnato che la stessa cosa si puo’ dire anche per i nostri errori, le nostre incoerenze e le nostre cattiverie. Ci sono sbagli che diventano irrecuperabili e si fissano nella tua coscienza per sempre.
Ancora oggi ricordo con amarezza che il giorno prima che mio padre morisse, abbiamo avuto un diverbio. L’indomani mattina io ero sveglio quando il mio babbo prendeva il pulman per andare a Torino a fare la radioterapia, ma ho deciso di non salutarlo perche’ ero ancora arrabbiato con lui ed ero convinto di aver ragione, per la solita presunzione adolescenziale... Purtroppo mio papa’ e’ morto di infarto su quel bus ed io non ho mai avuto una seconda occasione per chiedergli scusa di non averlo salutato. Con lui ho perso l’ultimo treno, e sovente ci ripenso ancora dopo 33 anni!


Tanti sono i casi di “errori fatali” o “deadly mistakes” fatti qui a Chaaria. Quasi sempre sono stati momenti di tensione od attimi di stanchezza che pero’ hanno lasciato il segno nel mio cuore, perche’ non ho piu’ potuto recuperare. 
Tra tutti, ricordo un caso di alcuni anni fa in cui Monica mi ha richiesto di andare a visitare un bambino grave. 
Io ero stressato e le ho detto che ci sarei sicuramente andato, ma dopo aver finito la coda dei pazienti in attesa. 
Quando pero’ finalmente mi sono recato da quel piccolo paziente, ho trovato la mamma in lacrime, ed il bimbo era gia’ morto! Ancora adesso mi rodo il fegato e rimango con il rimorso che di tanto in tanto fa capolino nella mia coscienza.
Anche ieri e’ stata una giornata caotica con tantissimi interventi chirurgici ed un mare di pazienti. 
Tra le altre cose avrei dovuto fare un ECG ed un ecocardio ad un giovane uomo in evidente scompenso cardiaco. Era cosi’ tanto dispnoico che non riusciva a stare neppure per un attimo in una posizione semi-sdraiata che mi avrebbe consentito gli esami sopra indicati. 
Io, invece di mostrarmi empatico nei suoi confronti comprendendo la gravita’ della situazione, me la sono presa con lui dicendogli poche parole purtroppo taglienti e quasi accusandolo di rifiutare i test diagnostici. 
Gli ho comunque impostato la terapia per lo scompenso cardiaco e non gli ho fatto mancare la mia competenza. 
Con mia sorpresa pero’, durante il controgiro serale le infermiere mi hanno mostrato la cartella dello stesso cliente, dicendomi che era passato a miglior vita mezz’ora prima del mio arrivo. 
Mi hanno visto stressato e si sono quindi preoccupate di dirmi che la terapia era stata impostata e che era stata eseguita correttamente. Ma il mio turbamento derivava da un’altra prospettiva: avevo incontrato quell’uomo solo una volta. 
Per lui erano le ultime ore di vita, ed invece di trovare in me una persona dolce ed accogliente, ha incontrato un professionista teso e poco comprensivo.
Tecnicamente gli avevo dato i farmaci che avevamo a disposizione, ma non ero stato gentile con lui. Anche lui pero’ ora e’ in Paradiso, ed ancora una volta io non ho la possibilita’ di chiedergli perdono. L’ho comunque fatto nel silenzio della cappella, sicuro che lui mi potesse sentire... ma mi rimane un peso sullo stomaco.
Anche con lui ho perso l’ultimo treno!

Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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