mercoledì 22 agosto 2018

La fucina di Chaaria

Vorrei iniziare il post di oggi con un pensiero spirituale del Dalai Lama, che dice piu’ o meno: ci sono solo due giorni della vita in cui non puoi fare niente per gli altri. Ieri e domani. Proprio per questo impegnati al massimo oggi nel servizio del prossimo.
Questo aforisma del buddismo tibetano mi aiuta sempre moltissimo ad alzarmi al mattino e ad affrontare i nuovi impegni, anche quando e’ dura e quando la giornata si presenta complicata ed estenuante.
Mi incoraggia pure a prendere decisioni radicali, che abbiano come fine l’aiuto del prossimo molto piu’ che l’autodifesa da eventuali problemi medico-legali.
Ed anche oggi la fucina di Chaaria lavora a tutto vapore.
Abbiamo lavorato duro per ricostruire le ossa; abbiamo messo chiodi e placche e raddrizzato arti guariti in posture abnormi per mesi.
La sala operatoria sembra in effetti una fucina, ed in essa si sentono rumori nuovi, come quelli della sega elettrica, del dermatomo, del trapano, del martello e scalpello... ma in questi giorni riviviamo un po’ quello che era stato il titolo del primo cortometraggio in “superotto” su Tuuru e sull’azione caritativa del Prof Operti: “gli storpi camminano”.
Operiamo fratture che arrivano da lontanissimo. Ci buttiamo in interventi che nessuno degli altri ospedali aveva voluto rischiare: ma noi abbiamo di mira il bene del malato e ci proviamo sempre.


Anche dopo l’ultima estenuante frattura ho pensato al Dalai Lama. Avrei potuto rifugiarmi nella stanchezza... invece, con un po’ di coraggio e temerarieta’ asbbiamo lavorato fino alle 19.30, ed abbiamo pure oggi fatto del bene senza posticiparlo a domani.

Fr Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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