mercoledì 5 settembre 2018

Un disastro della natura

Evelyne e’ venuta in ospedale oggi. E’ incinta e la sua pancia sembra quella di una gravida al settimo mese, ma giura che invece per lei sono ormai concluse le normali quarantadue settimane di una gravidanza a termine. Dice anche che il suo figlioletto ha cessato di scalciarla, e da tempo non avverte movimenti fetali.
La storia non promette nulla di buono, ed i sospetti diventano certezza non appena mettiamo la sonda ecografica sulla su pancia. Il bimbo c’e’, ma le sue forme sono un po’ strane. La sua testolina e’ deformata e pare una specie di torre. Anche il corpicino appare come schiacciato. Spostando la sonda a cercare il torace del feto, ci rendiamo conto che non c’e’ attivita’ cardiaca.
Dare la notizia ad Evelyne e’ stata molto dura. Non ha figli viventi, perche’ anche la volta precedente il bimbo era morto poco dopo essere venuto alla luce. Piange disperatamente ed e’ come inconsolabile. Tra i singhiozzi continua a chiederci perche’... e a domandarci una ragione scientifica per cui i suoi figli muoiono ancor prima di nascere.


Ho preferito non risponderle e semplicemente metterle una mano sulle spalle, mentre l’infermiera le prende una vena al fine di indurre le contrazioni con l’ossitocina.
Tra me rimugino sul fatto che sovente non la conosciamo veramente la ragione di un feto morto... tiriamo fuori un bambino dall’aspetto normale; non vediamo malformazioni, e la placenta sembra efficiente... eppure la creatura e’ morta!
Questa volta pero’, cio’ che abbiamo visto al momento del parto e’ stato terribile: il feto era morto e gia’ in avanzato stato di macerazione; il cordone era gonfio e violaceo, ed a circa dieci centimetri dal corpo del feto, era come strangolato da un filo sottilissimo e serrato attorno ad esso. Quella stringa avvinghiata al cordone terminava con un ammasso di carne non piu’ grande di un pugno. A prima vista sembrava solo una massa informe di tessuto organico, ma poi, osservando piu’ da vicino, abbiamo scorto degli abbozzi di arto, una schiena rudimentale e gli iniziali lineamenti delle natiche.
“Perbacco! Questo e’ un gemello malformato, possibilmente monocoriale (cioe’ posto nello stesso sacco amniotico). E’ possibilmente morto attorno al quarto mese di gravidanza, e poi pian piano il suo cordone ombelicale si e’ avvinghiato attorno a quello del fratellino vivo e gradualmente lo ha strangolato, impedendogli di ricevere sangue e ossigeno dalla placenta. La mamma aveva ragione a dire che la sua gravidanza era a termine. Ma possibilmente anche questo bimbo le e’ rimasto in grembo per almeno due mesi, dopo la morte... lo testimoniano i segni di avanzato stato di putrefazione.
Povera donna! Ora e’ disperata e piange. Ha portato in gembo gia’ tre bambini, ma non ha ancora avuto la gioia di stringerne uno al petto”.

Fr. Beppe Gaido

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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