lunedì 5 novembre 2018

Meditazioni post-cesareo

Cammino lento verso la comunita’ dopo un difficile cesareo notturno.
Sono ormai le 5.30 e vengo attirato dal cielo, che ha iniziato a schiarire. Ha un colore strano, ancora tendente al nero verso ponente, mentre a oriente si vede una fascia debolmente rosea al di sopra dell’orizzonte che poi sfuma in un grigio chiaro verso le zenit.
Il sole non e’ ancora sorto, e le stelle ormai si sono fatte invisibili a causa della soffusa luminosita’ che permette gia’ di intravvedere il contorno delle cose. 
Gli uccelli tessitori fanno un baccano della miseria e si affannano a centinaia per riparare i loro nidi dopo l’acquazzone notturno, mentre in lontananza i galli si danno l’appuntamento e cantano a squarciagola, uno dopo l’altro, per ricordarci che non c’e’ piu’ speranza per noi di tornare a dormire.
Sotto il lampione dell’ospedale osservo migliaia di ali di insetto. E’ come un tappeto semitrasparente, che ogni giorno spazziamo via ed ogni giorno si riforma. Che strana la creazione, soprattutto durante la stagione delle piogge: ci sono miriadi di animaletti volanti, che alla sera popolano l’aria e volteggiano senza stancarsi attorno alla luce elettrica; poi al mattino sono gia’ tutti morti. 


La vita e’ veramente un mistero: ci sono creature nate solo per morire; ci sono insetti che non hanno sopravvivenze superiori alle 12 ore. 
Qualcuno mi dice: “sono esseri svantaggiati nella scala evolutiva”, ma a me piace pensare in un altro modo: non e’ il tempo che conta, ma l’intensita’ con cui vivi. Anche queste creature sono state pensate da Dio, e la loro esistenza non e’ inutile, come non lo e’ quella del fiore del campo che “al mattino fiorisce, e alla sera e’ falciato e dissecca”.
Guardo ancora il cielo e mi riempio gli occhi per un attimo, prima di ritirarmi in camera per qualche istante: non posso infatti riprendere le battaglie quotidiane senza distendermi un attimo sul letto.
Rischerei di fare tutto malamente e di trattare con insofferenza quegli stessi pazienti che sono la mia “stella polare”, la mia vera “ragion di vivere” qui a Chaaria.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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