venerdì 28 marzo 2008

Il mal d'Africa



Stento a credere di essere stata a Chaaria realmente, talvolta i ricordi di quel mese assumono i contorni irreali e fiabeschi di un sogno. Allora riprendo le foto scattate e cerco di rendere tutto più reale, cerco di dare un contorno più definito ai miei sentimenti, ma questo mi genera ancora più confusione.....nostalgia, ardore, rabbia, voglia di fuga, creano un turbinio dentro di me, come una piccola tromba d'aria che quando scompare mi lascia un sentimento di vuoto. E' questo il mal d'AFRICA? La sensazione di vuoto che si sente dentro? E' questo che fa sì che l'indolente Kenya, con la calma e la lentezza che lo caratterizzano, rosicchi dentro di te un po’ di spazio, come l'acqua che, scorrendo nel ruscello, leviga le rocce sulle sue rive.... e questo spazio non può essere riempito che da altra AFRICA.
Quando sono tornata in Italia la prima cosa che mi ha colpito era la distanza delle cose... tutto mi sembrava enormemente più distante. Qui tutto ha il suo spazio; le cose hanno il loro spazio, le persone hanno il loro spazio, perfino la natura ha il suo spazio preciso: nel giardino, nel prato, nel recinto...é tutto solo uno sfondo, tanti poster appiccicati intorno alla vita di ognuno di noi.
In Africa invece, tutto questo non esiste, la natura ti circonda e ti avvolge, diventa parte di te, non ci sei più tu e non c'è più la natura ma ci sei tu nella natura. Non c'è il mio spazio e il tuo spazio, la mia sofferenza e la tua sofferenza, tutto assume una dimensione collettiva che forse rende tutto più accettabile.
Magari questa è solo la parziale visione di una Occidentale che, con i suoi fissi schemi mentali, non è riuscita ad entrare nell'essenza delle cose... ma è ciò che ho percepito nel tempo trascorso in Kenya. Non dico che sia stato facile, anzi... quando l'Africa ti entra dentro non è come un dolce venticello primaverile che passa leggero portando con sé profumi e speranza nel futuro; è piuttosto come un grosso macigno che pian piano rotola e non lascia spazio per niente altro; si impone… al massimo lo puoi coprire e camuffare ma lui sta lì e lo devi accettare... L'Africa con le sue enormi contraddizioni non la puoi sempre capire; la devi prendere così com’è: con una mamma che cerca di allattare al seno un neonato già morto, con un papà che ha paura di donare il sangue anche se si tratta della vita di suo figlio, con bambine-madri che cercano di abortire figli generati da abusi sessuali… con tutte queste scomode realtà. Ma l'Africa è anche la bellezza infinita dei suoi animali, delle sue terre rosse, dei suoi tramonti, e l'allegria, la semplicità e l'ospitalità della sua gente. L'Africa è smisurata!!!

...con infinito affetto... Rossella


DUE BRUTTE NOTIZIE DA CHAARIA...

La prima è che è morto Moses, un bambino tenerissimo di 8 anni, che da tempo era mio paziente per delle epistassi paurose. Abitava proprio vicino a noi, in quelle quattro catapecchie vicino alla casa di Andrew.
Quando Moses sanguinava dal naso era una cosa terribile: fiumi di sangue e coaguli. Dovevamo fare dei tamponamenti dolorosissimi con garze infilate nelle narici, ma lui stava bravissimo, in assoluto silenzio, anche quando gli scendevano le lacrime. Veniva trasfuso, e non aveva paura di niente, nè dell’ago nè della flebo. Quando stava bene era vivace e per strada ci salutava anche da lontano... Da alcuni mesi avevo capito la ragione dell’emorragia: il piccolo aveva la leucemia. Abbiamo tentato il viaggio della speranza, e lo abbiamo aiutato ad andare al Kenyatta, ma laggiù, in mezzo a dottori a lui sconosciuti, non ha trovato il miracolo... è andato in Paradiso ieri, ed in tutti noi lascia un vuoto che ci toglie le parole...

La seconda è sconvolgente, ma purtroppo ritrae una situazione sociale sempre più insicura: ieri sera tardi ho avuto un cesareo urgente, e sono uscito con la macchina a prendere Makena alle 22. Quando la volevo riportare a casa, all’incirca a mezzanotte, abbiamo visto una turba di gente che veniva verso l’ospedale: abbiamo deciso di aspettare per evitare di arrivare da lei e poi essere richiamati indietro immediatamente per un altro intervento: siamo scesi dalla macchina ed abbiamo atteso la folla che si avvicinava al cancello dell’ospedale con un vociare confuso. Portavano barelle di frasche, e su di esse abbiamo visto 4 cadaveri, tutti uomini. Ci hanno detto che poco prima delle 23 a Ochero, cioè a due chilometri dall’ospedale, vicino alla casa del nostro infermiere James, c’è stata una rapina a mano armata: i malviventi non hanno solo rubato, ma hanno ucciso... non si sa per quale ragione. Due delle vittime erano camionisti, fermati dai banditi con un posto di blocco fatto di grossi massi, ed altri due erano pedoni che cercavano di tornare a casa. Erano insanguinati e crivellati di colpi di arma da fuoco. Con grandissimo dolore abbiamo scoperto che una delle vittime era il fratello del nostro anestesista Jesse. Sempre più diventa pericoloso avventurarsi fuori della missione dopo il tramonto, ma per me spesso è inevitabile, come per esempio quando devo uscire a prendere un membro dello staff per la sala operatoria. Preghiamo per questi poveracci ed in particolare per il nostro Jesse.

Ciao. Fr Beppe.


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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